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Chico Forti, il Pirellone di Milano si illumina per lui: un'iniziativa fortemente voluta da "Libero"

Alessandro Dell'Orto e Fabio Rubini
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Dopo 21 anni di buio, rabbia e paura, la vicenda di Chico Forti vede un altro spiraglio di luce. Quello che gli offre il Pirellone di Milano, illuminato ieri notte e questa notte con la scritta «Chico in Italia» per ricordare a tutti dell'ingiustizia che sta vivendo l'ex imprenditore - che sta scontando l'ergastolo negli Usa dal 15 giugno 2000 per il presunto omicidio (mai davvero dimostrato) di Dale Pike avvenuto il 15 febbraio 1998 a Miami e per chiedere che gli Usa si decidano finalmente a fare quanto stabilito lo scorso dicembre (cioè trasferirlo in Italia), quando il governatore della Florida aveva accolto l'istanza di Chico di avvalersi dei benefici previsti dalla Convenzione di Strasburgo. 

Una vicenda che sembrava avviarsi verso la soluzione, ma che, ancora una volta, si è improvvisamente arenata perché il dipartimento della giustizia degli Stati Uniti d'America non ha fatto quello che era stato stabilito: mandare un documento al nostro ministero della Giustizia per accordarsi sulla commutazione della pena (l'ergastolo senza condizionale - cioè il detenuto esce solo da morto - cui è stato condannato Chico non esiste nel nostro ordinamento), permettendo così alla pratica di essere trasferita da noi (arrivati nel Paese di espiazione della pena, il destino giudiziario viene deciso dalla magistratura locale sulla base delle leggi del posto). 

Alle varie manifestazioni a favore di Chico si è così unita anche quella del Pirellone. Lo scorso 28 giugno l'ufficio di presidenza del Consiglio regionale, su proposta della leghista Francesca Brianza (ma votata all'unanimità da tutti i partiti), aveva accolto la richiesta della famiglia di Chico di illuminare il Pirellone. E ieri anche il governatore Attilio Fontana ha inteso partecipare alla battaglia per il rientro in Italia di Chico: «Con l'illuminazione di Palazzo Pirelli anche Regione Lombardia si unisce alla richiesta trasversale di tutte le forze politiche che da tempo invocano il rientro in Italia di Chico Forti - ha spiegato il governatore lombardo -. Voglio ringraziare il quotidiano Libero che non ha mai smesso di indagare sul suo caso e impedito che cadesse nell'oblio. Spero che dopo quest' ennesima iniziativa promossa dallo zio del manager e accolta all'unanimità dal Consiglio regionale, le autorità americane prendano accordi con la Farnesina e si possa procedere al suo rientro in Italia». 

Lo zio di Chico, Gianni Forti, non ha mai perso la speranza e non si arrende mai. «Ringrazio la città di Milano, il governatore e la giunta regionale per l'iniziativa ha detto- e ringrazio Libero e Marika Porta per averla promossa. Per Chico questa è una grande iniezione di fiducia, perché vede che una città intera, anzi una regione, condivide il suo sogno e che tutto il mondo riceverà questo segnale forte. Lui è orgoglioso di essere italiano e di dimostrare quanto gli italiani hanno coraggio e dignità». Chico intanto continua ad aspettare e lo fa, stremato, in un carcere americano, dopo che la sua vita è stata stravolta nel 1998: viveva felicemente a Miami, amava la vela (ha partecipato a sei mondiali e due europei di windsurf) e faceva il produttore cinematografico, quando, senza motivo, è stato incolpato di aver ucciso Dale Pike, figlio di Anthony Pike, dal quale stava acquistando (in realtà poi si è capito che si trattava di una truffa) il Pikes Hotel a Ibiza. L'inizio di un incubo che ha portato un innocente ad essere accusato senza indizi, essere giudicato senza difesa, essere condannato senza prove. Incastrato.

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