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Prima della Scala, il passaporto dell'italianità in tutto il mondo

Beatrice Venezi
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La “prima” della Scala è espressione di un made in Italy di altissimo profilo, del nostro patrimonio, della nostra storia e della nostra identità perché l’Italia è da sempre un Paese che canta. L’opera lirica è espressione della nostra cultura e, se ci pensiamo, l’aria d’opera si è trasformata poi nella grande canzone d’autore a cui ci hanno abituato i grandi cantautori del passato. Esiste questo collegamento che non sempre viene sottolineato e che invece dovrebbe essere rivalutato, perché il canto è scritto nel dna degli italiani.

La prima della Scala è il biglietto da visita più eccellente che il nostro territorio ha da esibire in tutto il mondo. Mi piacerebbe che l’attenzione del pubblico non si spegnesse una volta che si spegneranno i riflettori del palco della Scala, che questa luce continuasse a brillare anche dopo il sette dicembre e che si tenesse alto l’interesse anche sui media rispetto a quella che è la grande attività operistica, musicale e culturale del nostro Paese, a partire dalle quattordici fondazioni lirico sinfoniche italiane. Sarebbe bello se si riuscisse a creare lo stesso livello di interesse per ciò quello che avviene nei nostri teatri, non solo il sette dicembre a Milano, ma in giro per l’Itali tutto l’anno.

Credo sia importante, inoltre, affidarsi a un cast operistico italiano e ciò non solo per valorizzare ed esportare i nostri talenti, ma per incentivare quello che è un vero e proprio sistema produttivo (attenzione, non voglio sminuire gli stranieri, ma solo dare spazio ai nostri artisti meritevoli). Ogni volta che vado all’estero mi rendo conto di quanta fame d’Italia ci sia, del fatto che siamo depositari di un know how che ha una storia secolare e noi dovremmo essere capaci di sfruttare al meglio questa gloriosa eredità di cui godiamo.

Quest’anno per la prima del Piermarini è stato scelto Giuseppe Verdi le cui opere hanno un valore fondante per la società. Verdi era un uomo consapevole del suo tempo, profondamente immerso nello spirito degli anni in cui visse, fu portatore dei valori della nascente società risorgimentale che riuscì a diffondere alle masse. Non dimentichiamo che l’opera lirica nasce come intrattenimento popolare: si aspettava la prima di un’opera di Verdi con la stessa curiosità ed emozione con cui oggi si aspetta un nuovo singolo dei Maneskin odi Lady Gaga. Apprezzo che si sia scelta un’opera importante del repertorio italiano, ma per il futuro sarebbe interessante recuperare titoli di grandi compositori poco interpretati e quindi poco conosciuti. Penso a La donna serpente di Alfredo Casella, a La fiamma di Ottorino Respighi o anche a quegli autori come Pietro Mascagni e Umberto Giordano diventati famosi per un solo titolo - Cavalleria rusticana e Andrea Chénier - e che invece hanno nel loro repertorio opere altrettanto straordinarie. 

Sarebbe inoltre interessante innovare e dare spazio alla nuova opera lirica italiana. Ad oggi non esiste una scuola che insegni l’artigianalità della composizione. Un tempo chi voleva imparare l’arte andava dai grandi compositori, come nel Rinascimento gli aspiranti artisti andavano a bottega. Oggi manca un luogo in cui si possa trasmettere l’arte e l’artigianato della composizione e sarebbe per me un sogno poter contribuire a realizzarla. 

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