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Cosa altro serve per fermare l'invasione?

Daniele Capezzone
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Al di là delle cronache (scarne ed essenziali altrove, ampie e dettagliate qui su Libero), si percepisce un palpabile senso di imbarazzo sui fatti avvenuti a Milano la notte di Capodanno. Supersintesi: a San Siro, in zona Via Zamagna, “gruppi di persone” (riferiscono i lanci di agenzia in modo rigorosamente neutro) hanno prima acceso dei falò accatastando rifiuti e altro materiale, e poi hanno scatenato la guerriglia contro i poliziotti che avevano osato intervenire. Scene poco piacevoli anche in zona Duomo, dove, in assenza di un evento principale, a fronte di numerose persone comunque presenti per festeggiare in piazza, si sono registrate pure lì tensioni, con un inimmaginabile (almeno fino a qualche anno fa) effetto-terra di nessuno. Non sono mancati episodi assai sgradevoli e preoccupanti (lo testimoniano i medici che erano in servizio nella notte tra il 31 dicembre e il primo gennaio) nemmeno in diversi pronto soccorso, con la singolare pretesa di qualcuno di farne luoghi di bivacco. E poi ancora – in ordine sparso – sparatorie, disordini, tafferugli. È bene superare l’imbarazzo e chiamare le cose con il loro nome: nella stragrande maggioranza dei casi, questi fatti sono addebitabili a persone immigrate, spesso a soggetti di seconda generazione.

Il che va sommato a quanto aveva messo nero su bianco, nella sua relazione di alcuni mesi fa, il questore di Milano Giuseppe Petronzi: «Una riflessione serena e di carattere sociologico andrebbe fatta a proposito del 73% del totale degli arrestati per rapine commesse sulla pubblica via rappresentato da stranieri. Per i furti con destrezza, la percentuale arriva al 95%». Chiaro, no? Tre rapine su quattro in strada risultano effettuate da stranieri, a cui vanno aggiunti novantacinque furti con destrezza su cento. È esattamente ciò che allarma chi passa in una stazione, chi torna a casa la sera, chi fa un tratto di strada al buio. O vogliamo continuare a parlare di “percezione”? Nella stessa relazione, rileggo un’altra pagina emblematica: si tratta del caso di un cittadino straniero, fermato ad aprile a Milano per violenza sessuale ai danni di una ragazza molto giovane. Scrive Petronzi: lo straniero «era già stato condannato ed aveva scontato la pena in carcere per rapina ed un’altra violenza. Dopo la scarcerazione, era stato nuovamente arrestato per resistenza nel luglio dell’anno scorso e rilasciato a novembre». Aggiungo io: cos’altro serve per capire? Ricordatevelo ogni volta che sentirete protestare – da sinistra – contro la presunta «deriva securitaria» del governo. Il punto è tutt’altro: il mix di immigrazione fuori controllo, reati e recidiva, cioè ripetizione dello stesso crimine o commissione di un nuovo reato a stretto giro di posta.

 

 

Inutile girarci intorno. Abbiamo sotto il tavolo (e fingiamo di non accorgercene) due bombe a orologeria. La prima è un’immigrazione irregolare che resiste su numeri troppo alti nonostante gli sforzi del governo (e nonostante che la sinistra chieda porte e porti spalancati...). Lo capisce chiunque: in un tempo stretto, chi è sceso da un barcone ha molte probabilità di finire alla Stazione Termini di Roma, alla Stazione Centrale di Milano, o comunque in un contesto di oggettivo degrado urbano. Cercando cibo, denaro, e probabilmente anche sesso, trattandosi di maschi giovani e soli. La seconda bomba ha a che fare con i soggetti di seconda generazione. Anche qui il racconto della sinistra sulla mitica integrazione è platealmente smentito dalla realtà. Né si tratta di invocare – come armi di distrazione di massa – l’esigenza dello ius soli o di soluzioni simili. Basta dire che già ora, a legislazione vigente, l’Italia è per distacco il paese europeo che concede il maggior numero di cittadinanze: più della Francia, più della Spagna, più della Germania. E allora dove sarebbe l’urgenza di concedere altro? Aggiungo che una ragionevolissima attesa della cittadinanza (non a caso fatta coincidere con il compimento della maggiore età) non priva l’adolescente figlio di cittadini stranieri proprio di nulla: né sul piano scolastico e educativo, né su quello sociale, né in ogni altro aspetto riguardante i diritti e le libertà di un giovane.

Provate a fare a un sostenitore dell’allargamento una domanda semplicissima: quale sarebbe il danno – per l’adolescente figlio di cittadini non italiani – di dover attendere il diciottesimo compleanno per diventare italiani? Risposta semplice: nessun danno, nessuna possibilità in meno. Non c’è alcuna discriminazione. Anche per gli irregolari (ovviamente) sono e restano garantiti i diritti fondamentali della persona umana. Quanto ai regolari, in linea di massima hanno gli stessi diritti dei cittadini italiani. In particolare, i lavoratori e le loro famiglie hanno piena parità di trattamento e uguaglianza giuridica rispetto ai lavoratori italiani. Certo, ai fini dell’accesso ad alcuni servizi o benefici, la legge può mettere dei paletti (è accaduto negli anni scorsi anche per il reddito di cittadinanza, ancorato alla condizione di un certo numero di anni di residenza), ma deve appunto trattarsi di criteri oggettivi, generali ed astratti: non certo legati a razza, lingua o religione.

È perfino superfluo sottolineare che queste ultime ipotesi siano tassativamente escluse, e addirittura inimmaginabili per il nostro ordinamento. Morale. Il nostro adolescente figlio di non italiani e in attesa di cittadinanza può studiare? Sì, anzi deve. Può curarsi, se ha un problema di salute? Certamente. Può comportarsi in tutto e per tutto come i suoi compagni? Assolutamente sì. Ovviamente avrà solo documenti diversi, che gli serviranno per viaggiare e spostarsi. Tutto qui. Ciononostante – ecco il punto – in numerosi nuclei di seconda generazione c’è una chiara volontà di non integrarsi, sommata a un risentimento crescente, a un’ostilità negata da troppi, non vista da tanti altri. La bomba è dunque pronta a esplodere. Che altro deve succedere affinché scatti l’allarme? A Colonia, in Germania, a Capodanno 2016, si arrivò a molestie di gruppo (con diversi stupri), con arabi e nordafricani che derubavano gli uomini e circondavano-insultavano-molestavano le donne. Un anno fa (Capodanno 2022), qui a Milano, accadde qualcosa di simile, con violenze e stupri “in modalità branco” con il coinvolgimento di una quarantina di soggetti di seconda generazione. Insomma, una scomoda realtà è ormai squadernata sotto i nostri occhi: continuiamo a girarci dall’altra parte e a non voler vedere?

 

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