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Franco Anelli, la telefonata prima del suicidio: aperta un'inchiesta

Simona Bertuzzi
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Un uomo illuminato. Affabile come lo sanno essere i piacentini. E come i piacentini di poche parole, le interviste calibrate, i toni moderati. Del magnifico ateneo di cui era rettore (mancavano pochi giorni alla fine del suo terzo mandato all’Università Cattolica), Franco Anelli diceva che non deve servire «a licenziare persone con la testa piena di nozioni ma menti capaci di pensare ed essere a loro volta creativi e originali». E agli sviluppi vertiginosi dell’intelligenza artificiale e dei robot umanoidi si approcciava con la saggia curiosità del pensatore, «le università non possono attendere che le cose avvengano, devono confrontarsi, studiare i fenomeni, capirli, dobbiamo essere aperti e pronti».

Un uomo di scienza e conoscenza, dunque, un grande avvocato e giurista.  Si è tolto la vita giovedì sera a pochi giorni dal 61esimo compleanno. Così straordinariamente stridente e immenso quel volo giù nel vuoto, dal sesto piano della palazzina in cui viveva in zona Castello. Abitava al primo e secondo piano, ma è salito in terrazza e se ne è andato.

Non un biglietto, dicono i primi resoconti, non una spiegazione rimbalzata nel pissipissi dei cronisti. Solo in serata trapelano i primi dettagli tutti da confermare: lui che torna a casa con la compagna, beve un aperitivo, poi sale di sopra per rispondere ad alcune telefonate; lei che cerca di raggiungerlo, non lo trova, pensa sia uscito da una porta secondaria, ma mentre monta l’ansia e chiama i soccorsi, c’è già un vicino che ha notato il corpo nel cortile. Semplicemente il sogno della vita che impatta contro la rude legge del cemento, e si frammenta in crudissimi rituali: il medico legale, la constatazione del decesso, i rilievi dei carabinieri e la prassi, se di prassi si può parlare, dei casi di cronaca come questo (fascicolo per ipotesi solo tecniche di istigazione al suicidio o omicidio colposi, autopsia, analisi dei tabulati telefonici, in particolare quelle ultime telefonate, e del suo computer).

 

Ieri Milano e il mondo accademico si sono risvegliati monchi e vuoti. Il rettore era atteso in mattinata a un convegno con l’arcivescovo Mario Delpini, ma nella sala pronta per ascoltare le sue parole è arrivata solo l’eco di una succinta agenzia di stampa. E’toccato dunque a Delpini dare il via al rituale e alle lacrime: «di fronte all’enigma le parole non si riescono a pronunciare», ha detto, «se non facendo confusione e creando ferite. Ho un ricordo di un professore di grande competenza e cultura, che ha dato molto all'Università».

Lo hanno abbracciato anche il sindaco Beppe Sala, il presidente di Camera di Commercio Carlo Sangalli, il presidente della Cei Matteo Zuppi i ministri e i partiti tutti. Milano per Anelli. Anelli per la Milano che l’aveva adottato e inglobato nel vortice bellissimo (che più le somiglia e la fa sentire rampante) di lavori, conferenze, impegni e riconoscimenti. «Spese parole importanti per Armani quando l’università conferì allo stilista la laurea honoris causa», ricorda un collega. Citò persino Papa Francesco e l’armonia delle tre intelligenze mente, cuore e mani- che Re Giorgio incarnava su quel palco. Ma restava Piacenza la sua città natale, da che il 26 giugno del 63 era venuto al mondo. Nella cittadina emiliana, Anelli trascorse la giovinezza, studente brillantissimo del liceo scientifico Respighi dove si sono diplomati sfilze di talenti e dove ieri, incroci strani fa il destino, si è svolta la cerimonia del Respighiano dell’anno, «il premio che si conferisce agli studenti del liceo che si siano distinti nella vita e nelle professione» spiega il giornalista della Libertà. «Anche Anelli l’aveva ricevuto anni fa».

Ormai le sue presenze a Piacenza «erano però legate alle feste comandate o agli impegni ufficiali». L’inaugurazione di un’aula universitaria. Oppure il Dies Academicus di qualche settimana fa in cui - ricorda il sindaco di Piacenza Katia Tarasconi – «ha rimarcato e dimostrato il suo amore per la città». Convintissimo che Piacenza fosse molto più della bellezza dei suoi monumenti, dei suoi colli incantati, della via francigena o del suntuosissimo gnocco fritto. Che fosse insomma crogiuolo di talenti, fabbrica di menti brillanti, una vera cittadella universitaria. Al punto da partecipare, insieme ai rettori delle università locali e alle istituzioni, alla firma del Protocollo Atenei. Incredibile carriera la sua. Laureato in giurisprudenza alla Cattolica di Milano, dottore di ricerca in Diritto commerciale, avvocato cassazionista nel ’98, professore ordinario di diritto civile presso la sede di Piacenza della Cattolica fino all’anno 2011/2012 quando inizia l’impegno da rettore, poi insegnante di diritto privato a Milano, vicepresidente della Fondazione E4Impacte della Banca Cesare Ponti. Una vita dedicata al Policlinico Gemelli e alla Cattolica. Con la discrezione come modus vivendi, nella vita professionale e in quella privata. Aveva una compagna. E una mamma amatissima e molto anziana.

Ed era amico di Marco Elefanti, anche lui piacentino, rettore del Gemelli e prima direttore generale in Cattolica. Anelli era anche un cattolico rigoroso e generoso, e qui si apre l’interrogativo di tutti, perché il suicidio? Il 13 maggio 2022 papa Francesco lo ha nominato cunsultore della congregazione per l’educazione cattolica, una delle nove congregazioni della Curia romana competente sulle università pontificie. Per molti era inevitabile che proseguisse lì la sua carriera. Proprio pochi giorni fa era arrivato l’avviso della Cattolica di avvio dell’iter del nuovo rettore con i 12 consigli di facoltà dell’ateneo che hanno dato la preferenza per Elena Beccalli, preside della Facoltà di Scienze Bancarie. Potrebbe diventare la prima donna a guidare la Cattolica e sarebbe la quarta dopo Bicocca, Statale e Politecnico. Di Anelli mancherà tutto, dicono, ma soprattutto quel modo di guardare gli studenti, perché era da loro che tornava sempre, «solo guardandoli negli occhi si capiscono bisogni, capacità, talenti e debolezze da confortare». Un animo grande. Ed è suonato come una carezza il conforto del papa. Un telegramma per esprimere vicinanza e per ricordare «il suo impegno per la promozione dei valori cristiani». “Docere” anzitutto. Perché è lì che inizia la vita. E il sogno di cambiare il mondo.

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