Quanto è ampia la voragine fiscale scavata dal Leoncavallo negli ultimi trent’anni? Tanto, troppo. I tunnel di Hamas, al confronto, sono nulla. Dalla tassa sui rifiuti ai diritti Siae (la Società italiani degli autori e degli editori) per i concerti e i dj set, passando per il servizio bar e cucina senza lo straccio di mezzo scontrino: vagonate di quattrini incassati esentasse, bellamente in nero, alla faccia di ristoranti, bar e discoteche per i quali le scadenze non sono optional.
Prima di vedere nel dettaglio tutte le gabelle mai pagate dal centro sociale più famoso e più abusivo d’Italia, ecco una notizia che contribuisce a ingigantire l’affaire Leonka. Nel 2024 la Corte d’Appello aveva condannato il Ministero dell’Interno a risarcire i Cabassi di 3 milioni di euro per il mancato sgombero dell’ex cartiera di loro proprietà. Il Viminale aveva fatto sapere che si sarebbe rivalso sulle Mamme Antifasciste, ovvero l’associazione che formalmente rappresenta il Leoncavallo, chiedendo loro la medesima cifra. Lunedì scadevano i termini della richiesta ma l’associazione non sborserà un solo centesimo.
Non che ciò stupisca, visto che le Mamme Antifasciste hanno sempre dichiarato di «non avere tutti quei soldi», ma avrebbero dalla loro anche un cavillo legale. In corso, infatti, non c’è una causa del Ministero nei loro confronti ma una semplice diffida. Pressoché impossibile, in ogni caso, provare che dal 2003 in poi - data della sentenza del Tribunale di Milano che imponeva all’associazione il rilascio dell’immobile - siano state proprio le Mamme ad aver impedito la liberazione della fabbrica occupata.
Dunque sarà la collettività a pagare pegno: soldi pubblici, tre milioncini tondi tondi, per risarcire i privati che per tre decenni non hanno potuto usufruire di un loro bene.
E ringraziamo il cielo che l’attuale governo di centrodestra è intervenuto per mettere i sigilli a quel fortino che per troppo tempo ha goduto di extraterritorialità. Ma torniamo ora alle tasse mai versate dal Leoncavallo. Come anticipato ieri sulle pagine della cronaca milanese di Libero, ballerebbero centinaia di migliaia di euro di Tari non corrisposta (c’è però il sospetto che il Comune abbia inquadrato come fabbricato l’immobile, in quanto ex cartiera, e dunque la tassa rifiuti sarebbe più leggera).
La Tari non solo è al centro delle pendenze tra le Mamme Antifasciste e il Comune di Milano ma dovrà essere comunque versata nelle casse di Palazzo Marino. Su luce, acqua e gas, invece, gli antagonisti dovrebbero aver pagato il dovuto. Quanto invece agli eventi, ovvero concerti e serate danzanti con la musica a pompare dalle casse fino a tardi, nulla è mai stato organizzato secondo i crismi di legge. Nessun permesso chiesto alla Siae per le esibizioni dal vivo che hanno tolto il sonno ai residenti del quartiere; nessun servizio d’ordine regolamentato per gestire flusso e deflusso degli avventori; nessun regolare biglietto d’ingresso («tutte le attività che si svolgono al Leoncavallo sono autofinanziate: ingresso a sottoscrizione significa che aiuti a sostenere attività e progetti», è il mantra leoncavallino).
Di che cifre si tratta? Da tabelle Siae del 2025, alla voce “spettacoli musicali”, per eventi non gratuiti al pubblico le cifre minime da corrispondere sono 108,80 euro fino a cento posti di capienza, 208 euro fino a 300 posti, 319,75 euro fino a mille. Ergo: prendendo per buona la via di mezzo di presenze e calcolando un concerto a settimana si parla di oltre 800 euro evasi al mese, che diventano almeno 8.000 all’anno (stando al ribasso). Mica bruscolini.
Ammettendo invece che il centro sociale sia equiparabile a un “circolo ricreativo”, da tabelle Siae del 2025, per eventi non gratuiti al pubblico, si devono pagare minimo 23,70 euro per ogni appuntamento musicale senza ballo e minimo 31,45 euro con ballo qualora gli iscritti al circolo siano massimo 300; oltre, e fino a 500 persone, si sale rispettivamente a 35,05 e 55,20. Numeri decisamente più bassi ma comunque impattanti.
Infine, la “cucina pop” aperta dal giovedì alla domenica: nessuna licenza a somministrare cibi e bevande ma soprattutto nessun registratore di cassa. In compenso, a tavola, semi di canapa per tutti. Prezzi bassi - dai primi a 5 euro ai secondi a 7,50 - ma ovviamente l’iva non è mai stata contemplata. Facile così... Leoncavallo Spa. Acronimo di Spazio pubblico autogestito? Macché: semmai di Società per azioni.