Toghe che sbagliano
Sempre così, lo schema non cambia mai: 1) La parte di Paese invasata di manette invoca la candidatura di magistrati per qualsiasi cosa; 2) Poi magari capita che un paio di magistrati alfabetizzati vengano effettivamente nominati, anche perché c'è una parte meno invasata (di Paese) che vuole calmierare l'altra: allora gli butta un osso, anzi due; 3) Sinché, morale, i nominati come Nicola Gratteri (a capo di una commissione per fare riforme in tema di giustizia) e Raffaele Cantone (a capo dell'Autorità nazionale anticorruzione) in sostanza vengono disconosciuti dai forcaioli o dimenticati dai moderati. Succede ai citati, pur con sfumature diverse: si rendono colpevoli di dire cose addirittura sensate o di non vivacchiare come si fa in genere nelle commissioni. Gratteri va ripetendo che le sue proposte di riforma sono pronte e consegnate da gennaio: ma nessuno gli ha fatto sapere più niente. Silenzio, anzi: quando sono scivolate fuori le sue proposte sulle intercettazioni (peraltro sensate) è stato educatamente attaccato un po' da tutti, compreso il Corriere. E Cantone? Basti che lo pseudo editoriale di Marco Travaglio, ieri, era titolato «Scantonate» (ah ah) solo perché il magistrato aveva ribadito ciò che hanno capito anche i morti, cioè che Rosi Bindi ha fatto un'incommensurabile cazzata a divulgare il famoso elenco degli impresentabili a due giorni dal voto. Ma di critiche ne erano piovute già tante altre, persino dalla seconda carica dello Stato. Insomma, criticati a destra e a sinistra, dagli invasati e dagli immobilisti di governo: sta a vedere che le due nomine erano giuste. di Filippo Facci