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Alfie Evans, Paolo Becchi: "Lo Stato non deve calpestare il diritto dei genitori a decidere"

Cristina Agostini
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Alfie Evans è morto nell' ospedale in cui era ricoverato da tempo. Una morte lenta, decisa da un giudice inflessibile che nulla ha concesso ai genitori del piccolo, i quali sino all'ultimo si sono battuti per la vita del loro bambino. Non è sta concessa la possibilità di trasferire Alfie a Roma, nonostante il bambino avesse ottenuto la cittadinanza italiana, e neppure a Monaco di Baviera, in un ospedale attrezzato per casi simili. Lì si ricordano ancora del programma eutanasico dei nazisti, nei confronti della «vita non degna di essere vissuta» Al bambino non è sta neppure concessa la possibilità di morire a casa. Il decreto di morte era stato firmato e il piccolo sarebbe dovuto morire, secondo i medici, in pochi minuti dopo il distacco del respiratore, e invece la sua agonia e durata quasi una settimana. La vita è fragile ma ostinata. Leggi anche: "Addio al nostro piccolo gladiatore", il triste annuncio dei genitori: Alfie è morto Alcuni idioti hanno parlato di «accanimento terapeutico» nei confronti del piccolo perché il suo cervello non funzionava e quindi non aveva alcun senso tenere in vita un vegetale. Meglio eliminarlo, anche contro il parere dei genitori. «L' utero è mio e me lo gestisco io», ma un bambino no, una volta nato diventa di proprietà dello Stato e neppure la sua mamma ha voce in capitolo sulla sua vita o sulla sua morte. Il piccolo era malato certo, inguaribile, ammettiamolo pure, anche se i medici non sanno neppure, con precisione, di che malattia si tratti, ma sono queste ragioni sufficienti per la sua soppressione? I malati gravi vanno curati, non eliminati perché troppo costosi per la società. Le cure palliative, che accompagnano alla morte gli adulti, in questi casi non possono valere anche per un bambino? Il giudice ha puntato tutto sulla morte di Alfie, ritenendo, consigliato in questo malamente dai medici, che in pochi minuti il bambino privo di ventilazione assistita sarebbe morto, ma il bambino non era in stato di morte cerebrale totale e persino il tronco encefalico (criterio sufficiente in Gran Bretagna per l' accertamento della morte cerebrale) funzionava ancora, e così Alfie ha cominciato a respirare da solo. E dove c' è respiro c' è soffio vitale. Il respiro fa battere il cuore, il cuore che batte fa circolare il sangue, il sangue che circola mantiene in attività il corpo. Altro che «accanimento terapeutico» dei genitori per tenerlo in vita: una agonia prolungata decisa da un giudice senza cuore. Un bambino nasce in una famiglia, i primi responsabili della nuova vita sono i suoi genitori, certo a volte i genitori non si occupano in modo adeguato dei loro figli, ed in questo caso è giusto che intervengano i giudici. Ma non era questo il caso. Qualsiasi decisione sulla vita e la morte di Alfie doveva passare da loro e non essere presa contro di loro. di Paolo Becchi

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