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Sergio Mattarella non è un pupazzo: aveva il diritto di dire no

Giulio Bucchi
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Si è sollevato un polverone davanti al rifiuto di Sergio Mattarella di nominare Paolo Savona ministro dell' Economia. Non si vedeva questa partecipazione da parte degli italiani dall' ultimo Grande Fratello Vip, quando è stato battuto il record di oltre 50 milioni di televoti. E non si registrava un tale sdegno dal giorno in cui Cecilia Rodriguez si infilò nell' armadio della casa più spiata d' Italia con il suo neo-fidanzato Ignazio Moser in cerca di un brandello di intimità. «Alto tradimento», «attentato alla Costituzione» si è esclamato a destra e a sinistra e queste gravi parole si sono propagate come un virus attraverso la rete, contagiando gli italiani che ora vedono nel mite Mattarella un acerrimo nemico dello Stato che rappresenta. Responsabilità - Quando si parla di complotti gli abitanti del Bel Paese vanno in brodo di giuggiole. Lo spirito patriottico conosce questi momenti di passionale eroismo, in cui gli italiani diventano paladini della Costituzione salvo poi disertare le urne allorché sono chiamati ad esercitare il diritto di voto. Eppure codesto spirito si spegne anche troppo presto, ossia già ieri mattina quando Marine Le Pen si è permessa di definire «illegittime» le nostre istituzioni. Ingiusto è l' accanimento nei confronti del presidente della Repubblica, accusato di crimini vergognosi. I suoi detrattori, che si schierano a difesa della carta costituzionale, sono stati zitti quando Salvini e Di Maio, che da anni si oppongono ai tecnici salvo poi imporre (non proporre) un non eletto al capo dello Stato, hanno messo nero su bianco la creazione di una sorta di direttorio che dietro le quinte avrebbe dovuto fornire direttive al capo dell' esecutivo, il quale dovrebbe godere di autonomia. Sono stati in silenzio anche quando i due hanno capovolto l' articolo 92 della Costituzione indicando, anzi imponendo, il premier ad un Mattarella che, dimostrandosi sempre molto aperto ed accondiscendente, ha accettato Conte, fornendogli l' incarico di formare il governo mediante l' indicazione dei ministri che erano già stati selezionati e decisi dal direttorio-ombra. Siccome il presidente della Repubblica non è un mero pupazzo che firma carte e dice sì a tutto, sono ingiustificati tali attacchi nei suoi confronti nel momento in cui si rifiuta di apporre la sua firma sul documento che dà il via alla formazione dell' esecutivo. Ma il suo non è ostruzionismo, non è neanche tradimento, è responsabilità. Il presidente non ha un diritto di veto sui ministri, ma la sua firma - se è richiesta - vuol dire che è necessaria e ha un valore, altrimenti non sarebbe prevista. Si sa, inoltre, che la sottoscrizione equivale ad un' assunzione di responsabilità da parte del firmatario, atto che non può essere imposto a nessuno. Neanche a Mattarella. Silvio e Renzi - Non è la prima volta, del resto, che un capo dello Stato manifesta la sua contrarietà alla nomina di un ministro. È solo la prima volta che codesto operato desta scalpore. Nel 1994 Berlusconi indicò ad Oscar Luigi Scalfaro il senatore Cesare Previti come ministro della Giustizia. Scalfaro non lo gradì ed il nome di Previti fu sostituito da quello di Alfredo Biondi. Lo stesso avvenne nel 2001, allorché sempre Berlusconi indicò per il dicastero della Giustizia Roberto Maroni. Si oppose - si mormora - Carlo Azeglio Ciampi. Quindi fu nominato Roberto Castelli. Ma non è finita. Sembra infatti che nel 2014 Renzi indicò a Napolitano la nomina di Nicola Gratteri a ministro della Giustizia e che Napolitano non condividesse tale designazione, tanto che fu nominato Andrea Orlando. Se ci fosse la volontà vera di governare, forse si questionerebbe meno sull' operato del Capo dello Stato, rispettandone il ruolo e non trattandolo come se il suo unico compito fosse quello di timbrare le cartelle, urlandogli «Zitto e mosca!». di Azzurra Noemi Barbuto

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