Vittorio Feltri: chi è davvero John Elkann, il nuovo Signor Fiat
Ecco, Jaki Elkann, dopo una dozzina di anni trascorsi al fianco di Sergio Marchionne, che immagino lo abbia istruito a dovere, sale sul più alto gradino della Fiat, diventando il presidente assoluto del gruppo automobilistico torinese, ormai internazionale, un vero colosso. È giusto così. Il giovane industriale era un predestinato, fu indicato dall' avvocato Agnelli come il proprio successore. E non sbagliò la scelta. Jaki ha dimostrato di essere degno di guidare l' impero familiare, al quale si è avvicinato inizialmente con garbo, impadronendosi poi gradualmente di vari settori. Con l' aiuto di Gianluigi Gabetti, cervello finanziario degli Agnelli, egli è diventato adulto e ora indossa i galloni di generale. Io nel mio piccolo lo avevo previsto. Nell' autunno 2006 lo incontrai, su iniziativa di Giancarlo Aneri, imprenditore illuminato (ramo vino e olio), in un ristorante di Milano, il Baretto, e conversai a lungo con lui, un signore a tutti gli effetti. Poi lo descrissi su Libero e ora, rileggendo l' articolo che gli dedicai, mi accorgo di essere stato involontariamente profetico, magari intuendo che quel ragazzo sarebbe arrivato al vertice. Ci è arrivato davvero perciò ripropongo al lettore il resoconto della cena durante la quale ebbi l' opportunità di capire di non essere di fronte a un bluff, bensì a un futuro grande leader. Credo valga la pena di guardare all' indietro per dare un' occhiata al presente e sbirciare nel futuro. A 12 anni dal mio colloquio amichevole con Jaki, mi rendo conto che vale ancora. Rileggiamolo. Con la famiglia Agnelli non ho mai avuto un gran buon rapporto. Solo cordialità. La prima volta che intervistai Gianni Agnelli erano gli anni Settanta. Lo avvicinai in una occasione pubblica. Dovevo rivolgergli alcune domande per il Corriere della Sera, dove lavoravo da pochi anni. Che imbarazzo. Lui si dava un sacco di arie. Elegante. Distaccato. Algido. Mi parlava e io prendevo appunti, disordinatamente. Quando si è intimiditi l' imbarazzo vince sulla lucidità. Però non andò male. Trascorse molto tempo prima che la Fiat mi riaprisse le porte. Fui invitato da Cesare Romiti in viale Marconi, ultimo piano, credo. Foresteria. Colazione di lavoro. Romiti mi rivolgeva delle domande, io rispondevo a battute. Il tutto stemperato da risate. Qualche tempo dopo fui ricevuto alle Mandrie, ancora zona torinese, in un villotto così così. Ci attendeva Umberto Agnelli, bel tipo. Anche in questo caso, un pranzo. Non ho mai capito perché i potenti ogni tanto, abbiano piacere di incontrare chi potente non è. Vabbè, non importa. Mercoledì della scorsa settimana, in un ristorante di via Senato ho cenato con Jaki Elkann, cognome micidiale da pronunciare, vicepresidente della Fiat sotto Luca Cordero di Montezemolo, si fa per dire. Era da tempo che avevamo intenzione di scambiare quattro chiacchiere, ma per un motivo o per un altro s' era dovuto rimandare. Poi a combinare ha provveduto Giancarlo Aneri, quello del vino e dell' olio, roba buona. Elkann è alto, mamma mia quanto è alto. Trent' anni. Pochi davvero. Per approfondire leggi anche: Sergio Marchionne, il gesto lampo di Jaki Elkann Una faccina bianca e un vestito blu ben portato. Cravatta né larga né stretta. Una bella cravatta. Ho il doppio della sua età e questo rende tutto più difficile. Per fortuna c' è Aneri. Lui non ha mai problemi. Figurati se ne ha stasera. Come tutti gli juventini ha una voglia matta di discutere della squadra di cui a me, invece, frega poco. Il punto è questo: cosa aspetta Jaki a diventare presidente della società dopo la nota crisi? E qui scopro quanto sia importante il club bianconero. Non è da considerare una semplice squadra, un divertimento, un di più. Guai a pensarla così. La Juve è un marchio più alto rispetto alla Fiat, anche se Elkann non lo dice a chiare lettere e preferisce glissare. Comprendo che la Juve è una specie di icona perché il discorso, per quanto vago, torna sempre lì, sulla collezione di scudetti, sul numero sterminato di gol, sulla maledetta retrocessione di quest' anno nonostante le vittorie conquistate sul campo. Jaki ha stile ed evita la polemica livello processo del lunedì. Sorride distaccato, non manifesta livori. Non so se qualcuno gli abbia insegnato a non farsi troppo coinvolgere nelle dispute da bar; è un fatto che il ragazzo non sbraca mai. Mi sembra preoccupato di essere all' altezza del suo ruolo di erede al trono. Come volesse ricordare agli interlocutori: occhio, io sto ancora imparando e non intendo bruciare le tappe, tempo al tempo, per adesso osservo e non giudico, e se giudico, il giudizio lo tengo per me. Bravo Jaki - Bravo Jaki. Ha intuito di essere la nostra ultima speranza, e cerca di non sprecarsi. Il capitalismo italiano da lustri è in panne, si fa mantenere dallo Stato e soprattutto dalle banche, è rappresentato da avventurieri senza talento o da finanzieri senza scrupoli. Lasciamo stare i furbetti del quartierino, i Tanzi e la genìa degli improvvisati; è nota comunque una cosa: non è con Tronchetti Provera e con altri sciuri alimentati dal credito che la razza padrona risolleverà il proprio destino. Ci vuol altro. Ci vogliono virgulti alla Elkann, uomini di faccia e non solo di facciata per risorgere. E Jaki è bene che non si senta un predestinato, basta che continui a muoversi con prudenza. Arriverà alla meta. Che non è solo la presidenza della Juventus, ma anche quella della Fiat, e non di una Fiat in crisi o zoppicante, bensì rilanciata sui mercati internazionali, come in parte è già. Per approfondire leggi anche: Impero Fiat, John Elkann resta solo Il cambio della guardia nella più grande impresa italiana non è certo stata una sciagura. Jaki lo sa e non ha fretta di metterci sopra il cappello. Oltre che di motori si occupa di giornali. La Stampa, della famiglia Agnelli per tradizione, è sotto la sua giurisdizione. Ed è sul punto di svoltare. Tra un mesetto uscirà a colori e con un formato diverso, identico a quello di Libero. A proposito. Ho dato una occhiata al quotidiano torinese ripulito. Ne sono rimasto impressionato; assomiglia molto al nostro anche nella impaginazione. Preciso: non me lo ha mostrato Jaki; ma una "spia". Il giovane vice di Montezemolo ricorda il nonno materno nel fisico. Ha qualche centimetro in più ed è più dolce. Per il resto, toglici le rughe a zampa di gallina attorno agli occhi, è identico. Gianni cominciò molto tardi a lavorare, oltre i 45 anni; Elkann è alla "stanga" da quando era ventenne. Un buon segnale. Laureato in ingegneria, sa ma non è saputello; anzi parla poco e non smette mai di domandare, ascolta davvero, non per finta. Gli piace l' Alfa Romeo, e almeno in questo siamo simili. Progetta di restituire il vetturone alle antiche glorie. Migliori rifiniture, più classe per avvicinare l' auto storica milanese alla Bmw e all' Audi, e un sistema di assistenza capillare nel mondo. Intanto pensa ai prodotti Fiat, «se la Bravo sfonderà come tutto lascia presagire», l' azienda sarà fuori dal tunnel. Dai discorsi del vicepresidente non emerge il desiderio di agganciarsi al carro statale, e qui egli dimostra di non essere un figlio di papà, ma un imprenditore orgoglioso e solido. Deve solo crescere e con lui deve crescere l' Italia. Non è un caso che il declino delle nostre automobili sia coinciso col declino del Paese e di una classe dirigente stanca per non dire bolsa. Viene in mente un detto: la prima generazione fa i soldi, la seconda li conserva, la terza li spende e chiude bottega. Jaki rappresenta la quarta e ciò conforta. Dello stile, che pure ha, non ci importa nulla. Ci importa molto invece la sua umanità, anche se non la esibisce; la fa trasparire appena dal modo in cui parla del fratello Lapo, cui dice di essere uguale, di sentirsi «gemello». Il fratello Lapo - Di Lapo s' è raccontato troppo e con cattiveria idiota; sbagliato, perché il secondogenito di Alain è solo un giovanotto del suo tempo. Merita di essere recuperato. Recuperato alla vita lo è già. Ora Jaki medita di rimettergli in mano il volante della comunicazione. E sarà un affare per la Fiat. Perché Lapo ha tanti difetti, come chiunque, però in materia di pubblicità è un genio. E senza una buona pubblicità dove vai? Il giorno in cui i fratelli Elkann saranno ai vertici anche della Juventus, per tornare al simbolo del successo, la casa torinese, la famiglia e l' Italia saranno di nuovo lassù in cielo. Dio lo voglia, e voglia che ciò accada presto. Non è più tempo di divisioni e di liti e neppure di gossip. Non chiedetemi di diventare tifoso dei bianconeri - preferisco l' Albinoleffe -; ma tifoso di Jaki e di Lapo lo sono, eccome se lo sono. Spazzata via la muffa dalla famiglia Agnelli, è giusto puntare alla sua resurrezione, che è poi la resurrezione di tutti noi. Lo sento, caro Jaki, non ci deluderai. Abbiamo bisogno di credere nei giovani per assolvere noi, che siamo i loro poveri padri. di Vittorio Feltri