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Vittorio Feltri: "Bravo, Giuseppe Conte. Però ti dico io che fine farai". Perché non è più un premier

Cristina Agostini
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Caso Siri. Ieri Conte si è mosso, e lo ha risolto. Bravo. Abbiamo a che fare con un premier astuto, un avvocato preparato. Ha vinto lui. Resterà lì con la sua elegante pochette e la sua zazzera ben pettinata, su un cervello che ci si sbaglia a ritenere di piccola cilindrata. Mi spiego. Quando il 2 maggio, in piena bagarre sul tema tra Di Maio e Salvini, ha chiesto ufficialmente le dimissioni di Siri, annunciando che in caso contrario prometteva di affrontare la revoca al prossimo Consiglio dei ministri, quello appunto di ieri, sapeva già di aver vinto la partita. È stata una mossa da cui lui non avrebbe potuto ritirarsi, salvo perdere la faccia di tolla e la poltrona d' oro. Ovvio che era perfettamente consapevole di rivestire i panni del Padrino. Per dirla in inglese, che è la sola lingua all' altezza dello statista che è in lui: «I' m going to make him an offer he can' t refuse» (versione italo-sicula del film: «Ci faccio un' offerta che lui non può rifiutare»). Tradotto: se mi dai contro, caro Matteo, mi sputtani, e cadiamo insieme. Morire per Siri? Ma va' là. Ovvio. Il vicepremier del Carroccio ha dovuto ingoiare, persino fingendo giubilo. È andata come doveva. Con una decisione che non ha precedenti Conte ha proceduto d' imperio con un decreto a togliere l' incarico al povero Armando. Leggi anche: Enorme figura di palta dell'avvocato grillino Conte: lo strafalcione. E Mattarella blocca la cacciata di Siri Siccome però a nominarlo è stato il Capo dello Stato, toccherà a Sergio Mattarella renderlo esecutivo con una firma. Non c' è stato nessun voto: sarebbe stato un 8 a 6 per M5S + Conte contro la Lega. La consultazione in sé, non il risultato avrebbe determinato il tutti a casa. Conte ha voluto forzare il gioco, con motivazioni balzane. Ma lo scopo era di continuare a esistere. Di Maio ha sostenuto che è stata una decisione del Consiglio dei ministri. Ha ragione. Peccato che non sia un Consiglio dei ministri, bensì un Consiglio di amministrazione di un' azienda malandata. Il cui unico scopo è di sopravvivere (non l' azienda, ma il Consiglio di amministrazione). Missione compiuta, zavorra gettata dalla mongolfiera, che non si schianta. Dove va? Non si sa. È stato bravo, Giuseppe Conte, a imbullonarsi alla cadrega, niente da dire. In siffatta operazione ha però svelato l' altarino di cartapesta su cui officia una messa senza pane e senza vino. Un prete inutile con chierichetti che gli rubano le ostie. Il suo non è un governo. Per la forma è in regola, ovvio. Per la sostanza no. Il problema è che, secondo biglietto da visita e giuramento solenne, dovrebbe essere il "Presidente del Consiglio dei ministri", la testa di un organismo vivo e operante, dove tra cellule cervicali ci si scorna prima della partita ma poi si combatte insieme, con una squadra della quale lui dovrebbe incarnare autorevolezza politica e forza morale. Senza essere Dante e neppure Bersani, che in tali cose era speciale, oso una metafora. L' Italia nella presente fase storica parte da uno svantaggio di 3 a 0, e Conte dovrebbe svolgere la parte di mister Klopp del Liverpool. Per gli estranei all' arte pedatoria, informo che la compagine inglese ha ribaltato - grazie a una formidabile volontà, grinta e unità di missione indotta dal coach=premier Klopp - il risultato sfavorevole e ha eliminato con un 4 a 0 il Barcellona. Adesso la squadra Italia, in un momento complicato, invece di affrontare sul campo il Barça e provare a batterlo, si è ritrovata solennemente non per abbattere le tasse e mettere a posto la giustizia ma per sbattere fuori un giocatore, peraltro di riserva, perché era stato ammonito dal giudice federale (avviso di garanzia, non condanna né rinvio a giudizio). Non va. Qui non mi occupo del merito (anche se ripugna), bensì del metodo. Lo dico con affetto per Salvini: non può funzionare così. Il nostro paese non può sopportare ancora a lungo di essere, piuttosto che guidato da un Consiglio dei ministri, mandato in confusione da un suo surrogato. Un Consiglio di amministrazione dove i membri del cda sono radunati sotto due cartelli che perseguono interessi diversi. Peggio ancora: uno trae profitto dalle disavventure dell' altro. Giuocano con due maglie diverse. Conte era perfetto per l' incarico. Del resto è lo stesso contratto che ne definisce il ruolo. Non è un leader che governa ma un notaio che pesa gli ingredienti per tenere in equilibrio la bilancia. Ecco, un arbitro con il fischietto. Stavolta, rinunciando alla funzione di equilibratore ha estratto un cartellino rosso, ha sbattuto fuori un tizio con il giubbotto della Lega. Un arbitro casalingo? Ovvio. L' ha scelto la lobby dei Cinquestelle che fila da Di Maio a Bonafede a Spadafora (potentissimo sottosegretario alla presidenza). Questo governo è nato così con equilibrio squilibrato. Finora non si era posto il problema del presidente: esisteva poco come tale. Proprio perciò era riconosciuto come premier: poiché non lo era. Nel momento in cui senza essersi consultato con Salvini ha espresso ex cathedra un giudizio forte non esistono spazi tra due possibilità. O ti adegui e resti, cercando di far valere dei crediti per l' onta subita. O lo sfiduci e te ne vai. La Lega ha dovuto restare. Per forza. Se non lo riconosce, dato che è l' arbitrato la sostanza dell' accordo tra i gialli e i verdi, l' esecutivo ha chiuso. La società si scioglie. L' arbitro porta i libri in Tribunale, cioè al Quirinale. Il capo del Viminale non può permettersi di passare per uno che fa cadere il gabinetto e manda ad elezioni per difendere la poltrona di un amico in odore di tangenti. D' accordo. L' Italia ha bisogno d' altro che di un governo così, dove il direttore di gara è venduto: ne verranno solo guai. Risolto il caso Siri, c' è il caso Conte. Che Dio, e le europee, ce la mandino buona. di Vittorio Feltri

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