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Non ci vogliono fare votare, tutte le trappole per Matteo Salvini

Maria Pezzi
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Oggi si raduna la conferenza dei capigruppo al Senato con la presidente Casellati. Devono decidere la data per votare a Palazzo Madama la sfiducia al premier Conte, come da mozione della Lega. Ma ci sarebbe anche la mozione del Pd ad personam contro Salvini, in quanto ministro dell' Interno, che è stata depositata prima. Buon senso auspicherebbe la via diritta della logica democratica ma va bene anche quella tribale praticata anche nelle tribù dell' Amazzonia che va così di moda. Che cada il governo, con tutti i suoi ministri. Che problema c' è? Visto che le due forze che lo reggevano hanno rovinosamente stracciato il loro contratto, non ha senso che chi era lì per incollarle tra loro, dimostrando la tenuta di uno sputo, si rivenda come attaccatutto. Procediamo con logica euclidea. Venuta giù l' architrave, cosa rimane? Un Palazzo in rovina dove tutti odiano tutti, e si strangolerebbero l' un l' altro nei vicoli di una Roma che somiglia a Maracaibo. In questo scenario, l' unica soluzione decente è rifare il mazzo, rimetterlo in mano al popolo, che scelga le carte: re, regine, fanti e scartine. Insomma far piazza pulita con la scopa pacifica del voto. Non funziona così, in Italia. Povero Salvini, quanta ingenuità. Se ti metti contro tutti, poi tutti si mettono contro di te. E il popolo? Al diavolo la plebaglia. È ignorante, va educata. Il minculpop del resto è già al lavoro. Li leggete i giornali, le guardate le tivù? Dite che ci sono documenti solenni con il sigillo dei segretari dove i primi cinque partiti in Parlamento hanno dichiarato: al voto al voto? Vero, arciverissimo. Ieri. Oggi è un altro giorno. M5S, Pd, Forza Italia, Fratelli d' Italia, oltre ovviamente alla Lega, con le eccezioni di quattro gattoni democristiani e dell' estrema sinistra di Leu, avevano sì deliberato di comunicare questa indefettibile scelta al Capo dello Stato, per evitargli mal di testa come l' anno scorso con Cottarelli, e poi Savona, e poi la minaccia di impeachment, e poi Conte. Che problema c' è (di nuovo)? Basta convocare un' altra direzione, segreteria, assemblea, basta un blog di Grillo, un' intervista di Renzi, un editoriale di Travaglio, una telefonata di Pietro Grasso, e le decisioni irrevocabili spariscono come una schermata sull' iPad. salvare la pelle E così oggi può accadere di tutto. Ciascuno sta applicando l' antico detto napoletano: «Arruobbe tu? Arrobbo pur' io! Si salvi chi può!». In nome dell' interesse nazionale, dei supremi destini della nazione, la si mette in quel posto al popolo bue, per amor suo, ovvio. In realtà lo si fa per difendere la propria pellaccia, ma le giravolte sono in vendita in tutte le sagre di paese, due soldi, te ne compri un pacco. E così Salvini è condannato alla salita al Calvario in solitaria. Una via crucis dove volentieri noi ci proponiamo come Cirenei per sostenerlo, ma il cammino verso l' alba di Pasqua (il voto!) pare procrastinato di parecchio oltre i tre classici giorni. E siamo abbastanza sicuri che l' intero Sinedrio dei caporioni, sia pur senza popolo ma con molti poteri internazionali e italici a dargli appoggio, poserà le sue chiappone grevi sulla lastra del sepolcro per impedire che si rinnovi l' evento di Gerusalemme. Matteo Salvini dovrà baciarne di rosari, e magari laicamente provare a rompere l' alleanza in corso tra nemici giurati, provando a tirarne qualcuno dalla sua. I farisei sono troppi, i traditori sono sempre pronti a incassare una trentina di seggi, e non sono dilettanti come l' Iscariota che si impiccò pentito. Certo Salvini ha ancora in saccoccia le cambiali sottoscritte dalle masse popolari. Quaranta su cento elettori sono con lui, e stanno pure in crescita. Quasi il 60 per cento è voglioso di elezioni. La colpa del leader leghista è di non stare chiuso nell' aria condizionata fetente dei ministeri e delle sale stampa. Intorno dovunque si giri, da Lecco a Pescara, da Gallipoli a Taormina, salvo i soliti urlatori fancazzisti, ci sono le masse odorose di crema solare e di ghiacciolo al tamarindo a godersi le scottature e a fargli sapere siamo-con-te, tira-diritto, sarà-un-successone. Una corsa in spiaggia, una gitarella con il pedalò, come fanno tutti i cristiani ad agosto. Poi a settembre i comizi, i programmi sono scritti con tanto di Flat tax, cantieri, battaglia con Bruxelles. Quindi le urne, e infine Palazzo Chigi. In teoria. Non ha capito, lo scioccherello, che la gente comune ha il peso di una piuma. la gente? Non conta Feltri lo invitava alla prudenza. Gli altri dicevano: è senza coraggio, non vuole fare la finanziaria, per cui non rompe con i grillini, il vitellone con la «pancia flaccida» (non è un' olgettina a dirlo, ma il New York Times a scriverlo, che classe). Per approfondire leggi anche: Giuseppe Conte, crisi e ipotesi estrema Accidenti i sondaggi non si cambiano in banca. E così invece di un' onesta corsa dove tutti partono dai blocchi di partenza con il Capo dello Stato che fa da starter, si è ritrovato al Palio di Siena, dove i fantini giocano a impedire il via, dando musate e frustate ai destrieri altrui per impedire la corsa. Insomma, il Capitano si ritrova in una selva oscura e intricata, un labirinto di ghirigori costituzionali, procedurali, burocratici, che lo stanno tenendo lontano, con i loro arzigogoli, da quello che in democrazia dovrebbe essere ovvio: il ricorso sacrosanto alle urne, quando un governo cade, e le forze in Parlamento non corrispondono neanche per finta al sentire della popolazione. La quale sarà volubile, ma ha pure il diritto di esserlo, e deve potersi esprimere. Invece si sono seduti in trono i pedagoghi della mutua, che vogliono dopare i cittadini con qualche mese di bromuro istituzionale. rovesciare la frittata Ed ecco il nostro povero cristo salire il suo Golgota tra i lazzi della stampa internazionale e le frustate dello spread. Tutto il mondo, amici e nemici, dopo il risultato trionfale delle elezioni europee gli suggeriva, poi lo implorava, infine gli si è gettato in ginocchio con le mani giunte: deciditi, rompi il vaso pieno di monete d' oro. Che cosa aspetti, poi è troppo tardi. Infine, Matteo Salvini con in saccoccia i sondaggi, si è deciso. Cavolacci, il vaso era pieno di serpenti a sonagli, altro che lapislazzuli. Così Salvini si è ritrovato solo, con il suo misero 17 per cento di parlamentari, e tutti gli altri, salvo la sparuta pattuglia di Giorgia Meloni, a sibilare, a sprizzare veleno contro di lui, a creare le sacre alleanze che in natura non esistono, ma in politica sono materia di sempre. Siamo al rovesciamento della frittata. Speriamo che Mattarella non si presti a fare lo chef di una ricetta avvelenata con le uova puteolenti di marciume. In nome della lotta al (presunto) fascismo di Salvini si adotta lo strumento fascista per eccellenza, bloccare il libero esercizio del voto, il principio supremo della democrazia, di cui tutte le istituzioni dovrebbero essere serve. Oibò, non sta andando così. Nei giorni scorsi mi sono ritagliato una frase di Stefano Folli tratta da un editoriale di Repubblica, ero sicura sarebbe venuta buona. Infatti. Andrebbero fatte gigantografie da appendere dalle parti del Quirinale: «La regola della democrazia prevede di dare la parola al popolo anche quando il vincitore rischia di essere chi non ci piace». di Renato Farina

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