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La ex portavoce di Proditrombata dalle quote rosa

Sandra Zampa vittima delle pari opportunità: arriva sesta in assoluto per numero di voti, ma il regolamento la fa scivolare all'ottavo posto

Nicoletta Orlandi Posti
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di Luciano Capone Le primarie non finiscono mai. C'è sempre un ricorso ad un comitato dei garanti o ad un coordinamento regionale. L'ultimo caso in ordine di tempo è quello che vede contrapposti il presidente dell'associazione delle vittime della strage di Bologna, Paolo Bolognesi, e l'ex portavoce di Romano Prodi e deputata uscente Sandra Zampa, entrambi candidati in provincia di Bologna. La donna ha ottenuto molti più voti di Bolognesi ma in lista si trova dietro di lui e fuori dai sette posti sicuri, e tutto per colpa di una norma che avrebbe dovuto tutelare le donne. Il regolamento delle primarie infatti, per garantire la parità di genere, prevede l'alternanza uomo-donna nella compilazione delle liste: così la Zampa, che è stata la sesta in assoluto per numero di voti, scivola all'ottavo posto perché è arrivata quarta tra le donne e si vede superare da due uomini, Sergio Lo Giudice e Paolo Bolognesi, che hanno avuto meno voti di lei. Zampa è sicura di avere ragione: «Io sono e resto la sesta candidata per numero di preferenze e visto che Bologna eleggerà sette parlamentari, io sono tra quelli che passano». Per Bolognesi il problema non esiste:  «Stiamo parlando di niente, c'è un regolamento e va applicato quello. È un regolamento che hanno voluto le donne, quindi stop. Io sono il quarto uomo e passo». La prodiana ribatte che «la norma è stata fatta per favorire le quote rosa, è chiaro che se una norma anti-discriminatoria discrimina proprio chi intendeva tutelare, cioè le donne, che a Bologna hanno preso più voti degli uomini, qualcosa non va» e richiama il principio più elementare della democrazia: «Vince chi ha più voti, è la regola base». In realtà il regolamento non parla di “quote rosa”, ma usa il politically correct “parità di genere” per cui il principio delle pari opportunità e dell'alternanza uomo-donna vale anche nel caso in cui siano gli uomini ad avere meno voti. La posizione della Zampa è opinabile anche quando sostiene che la norma era stata ideata come “anti-discriminatoria” perché in realtà serve proprio a discriminare chi prende più voti in favore della parità di genere. È inoltre curioso che la Zampa contesti le regole in nome della meritocrazia e del sacrosanto principio democratico “vince chi ha più voti”, proprio lei che è entrata in Parlamento per cooptazione e grazie ad un solo voto, quello di Romano Prodi. Per il Pd il problema resta aperto: da un lato, regolamento alla mano, Bolognesi è inattaccabile, dall'altro la Zampa ha moralmente conquistato e meritato un posto tra i primi sette. Il coniglio dal cilindro del partito sarà uno dei tanti cavilli del regolamento secondo cui «per ridurre al minimo la necessità di interventi di riequilibrio di genere su base regionale dopo le primarie, le Direzioni regionali decidono l'eventuale riequilibrio di genere che si renda necessario». Che tradotto dal burocratese significa che alla fine decide il partito, ad urne chiuse ed in ossequio al “centralismo democratico” di leniniana memoria. La direzione nazionale ha la facoltà di scegliere il capolista e basterebbe mettere in testa una donna per far salire la Zampa tra gli eleggibili, a quel punto rimarrebbe fuori Bolognesi, ma Bersani potrebbe ripescarlo nel suo listino riservato a «personalità di rilievo della società civile». Probabilmente a farne le spese sarà qualche candidato che ha vinto le primarie, ma che non è stato segretario di Prodi né presidente delle vittime della strage di Bologna. Il puzzle verrà composto il 5 gennaio dall'apparato regionale del partito in raccordo con il livello nazionale. Altro che primarie. 

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