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Italo Bocchino a Perna: "Ho spaccato il Pdl e ho perso. Ora il centrodestra va riunito"

Giulio Bucchi
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«Non giudico nessuno. Parlo bene di tutti», premette Italo Bocchino, mentre ci accomodiamo nel suo ufficio di direttore editoriale del Secolo d'Italia. Mi guarda serafico attraverso gli occhialetti tondi alla Gandhi e spegne il cellulare per riservarmi tutta la sua attenzione. Quest' uomo che sorride benevolo come una versione partenopea di Budda è quello stesso Bocchino che cinque anni fa scompigliò il centrodestra facendo l'armigero di Gianfranco Fini. Era il tempo dello scontro con Berlusconi, del «che fai mi cacci?», della casa di Montecarlo, dell'uscita dei finiani dal Pdl per fondare Futuro e Libertà. Bocchino, vuoi per la giovane età (all'epoca aveva 42 anni), vuoi per l'irruenza del temperamento, si espose più degli altri in favore di Fini, inimicandosi molti. In altre parole, per come ricordo io, mentre l'allora presidente della Camera faceva il pesce in barile, ossia soffiava sul fuoco ma trincerato dietro la carica, Italo, delegato da lui, azzannava il centrodestra, dal Cav in giù, compresi tanti ex An, suoi amici da una vita. La sinistra lo prese a benvolere e Bocchino imperversò nei talk show alla Santoro. Assistemmo così alla metamorfosi del cordiale giovanetto che, entrato a 29 anni alla Camera (1996) e scoperto da Pinuccio Tatarella, era considerato l'enfant prodige degli ex missini. Da quando non è stato rieletto nel 2013, ha scelto di vivere con la discrezione che gli era mancata nella fase precedente. «Da un anno sei il manager del Secolo. Un ritorno all'ovile professionale e politico?», chiedo. «Del Secolo ero redattore. Diventato deputato, mi ero messo in aspettativa. Cessato il mandato, dopo un anno di pausa per distaccarmi da tutto, sono tornato a fare il giornalista», risponde Italo con l'aria badiale di chi dice la cosa più ovvia del mondo. «Ma - osservo -, sei diventato il numero uno del giornale col consenso dei vari Gasparri, La Russa, Matteoli, ecc. con i quali in Parlamento ti prendevi a male parole. Come accidenti hai fatto?». «È stata una nomina all' unanimità. Attestato di stima che mi ha molto soddisfatto. Aldilà delle polemiche politiche, avevo mantenuto ottimi rapporti personali con tutti», replica col tono di chi è molte verste lontano dalle antiche beghe. «Ricordo tra voi scambi di improperi da mercato ittico. Non so come vi siate rappacificati, ma non tutti hanno gradito il tuo rientro in questo sinedrio della destra. Donna Assunta e sua figlia hanno detto che la tua nomina era una "vergogna", invitando a non leggere il Secolo», dico. «Non mi permetto di commentare un giudizio della Signora Almirante -risponde Italo con umiltà, riecheggiando papa Francesco («chi sono io per giudicare?») -. Mi occupo del presente e del futuro. Non più del passato». «Perché spaccaste il Pdl?», chiedo. «Fu una fase politica turbolenta. Il Pdl non funzionava come partito. Tanto che poi lo stesso Berlusconi è tornato a Fi. Ciascuno ha vissuto a suo modo quel malessere. Noi, nel modo più drastico». «Dopo anni di osanna a Berlusconi, cominciasti a insultarlo». Italo prende tempo appallottolando un pezzetto di carta, poi dice: «Berlusconi è stato il grande rivoluzionario politico che ha creato il bipolarismo. Ti dirò con Gabo Marquez, non guardiamo a come è finita, gioiamo per ciò che è successo: la destra ha governato. Ho riflettuto a lungo su quel periodo difficile. Ciascuno, tirò fuori il peggio di se stesso. Abbiamo tutti calpestato le regole che tengono il confronto sotto l'asticella. Con danno per il centrodestra e per le nostre singole immagini. Fini e io abbiamo fatto la battaglia per imporre la nostra idea sul futuro del centrodestra, ma l' abbiamo persa. La storia la scrivono i vincitori. I vinti fanno altro. Perduta la partita, ho preso atto che quella mia stagione è finita. Se insistessi, sarei patetico». Ipnotizzato dalla solennità delle sue parole, fisso l' Italo seduto dall' altra parte dello scrittoio direttoriale. Ha la calma austerità dell' uomo che, fatti i conti con la sua severa coscienza, uscirà vincente dal Giudizio Universale. Mai capito perché tu abbia sostenuto Fini nell' indifendibile faccenda della casa monegasca. «In battaglia, difendi la tua parte a prescindere. Fu comunque vicenda assai triste utilizzata per colpire Fini». Fini si è colpito da sé. Deteneva fiduciariamente un bene di An, finito però al cognato Tulliani.  «Nel merito non voglio entrare, non potendo giudicare cose che non conosco».   Andiamo bene: neanche tu sai come stanno le cose.  «Ti do il mio giudizio. Un errore di opportunità commesso da Fini è stato trasformato nella sua Norimberga. C'è stata sproporzione tra l'errore fatto e la voglia di approfittarne per annichilire Fini». In che rapporti sei oggi con lui?  «Molto buoni, come sempre». Per te, furono anni di sbornia. Hai rotto anche il matrimonio con Gabriella Buontempo.  «Le vicende familiari esulano dalle altre. Hanno logica propria. Sarebbe da vigliacchi scaricare sull' esterno le nostre colpe private». Hai rimesso la tua vita sul binario?  «La mia vita è stabile, rigorosa e riservata». Dai tempi della lite, l'Italia è più povera e smarrita.  «Sì, purtroppo. L' Italia vive una crisi profonda. Al pari dell' Europa e dell' Occidente, poiché è in atto una redistribuzione mondiale della ricchezza e dei ruoli». Non consola.  «La mia idea però è che l' Italia ha tante risorse per fare meglio degli altri. È un grande Paese». Te la canti e te la suoni.  «Chiunque diventi ricco nel mondo, che sia sudamericano, russo o cinese, vuole venire da noi, vestire italiano, mangiare italiano, comprare design italiano. A ogni latitudine, appena hai soldi vuoi divani Cassina, Brunello di Montalcino, prosciutto di Parma». Grazie alle vostre liti, il Cav fu sbattuto fuori da Palazzo Chigi e ci ritrovammo la iattura di Monti. Pentito, col senno di poi?  «Monti è stato una delusione per tutti. Ma quale era l' alternativa? Sospetto, in ogni modo, una manovra internazionale che, attraverso lo spread, mirava a cacciare Berlusconi. Lui ha pagato le scelte di politica estera in favore di Gheddafi e di Putin. Però aveva ragione: oggi, in Libia è il caos e il gelo dell' Occidente con Putin è un danno per tutti». Matteo Renzi: benedizione o bluff?  «A favore di Renzi gioca il cambiamento profondo prodotto nella sinistra in cui ha portato freschezza e speranza. I contro sono l' uso del cambiamento come una clava. Non è un bel vedere la rottamazione, per cui tutto ciò che è venuto prima di te, è robaccia». Che giudizio dai del fiorentino?  «In lui, l' azione precede il pensiero. La riforma elettorale è furbetta e pro domo sua. Quella del Senato poco incisiva. Quella delle province inesistente. Suo unico obiettivo è ricreare la Dc, attraverso il Partito della Nazione». Per chi voterai, Fi, Meloni o altro?  «Aspetto che, grazie all'Italicum, ci sia la lista unica del centrodestra e voterò quella». Il centrodestra è alla frutta?  «In apparenza. Ma può rialzarsi e vincere. I voti li ha e sono maggioritari. Non li prende, perché diviso. Basta unirsi». Aprire ai matrimoni gay porta consensi?  «Non è materia elettorale. Deciderà il Parlamento. Compito del centrodestra è però ispirarsi alla dottrina sociale della Chiesa». Il Cav è lesso?  «Non è più quello di vent'anni fa. Ma la sua strategia è di essere imprescindibile. Chiunque voglia rifondare il centrodestra deve fare i conti con lui». In che rapporti siete?  «Non ho rapporti». Matteo Salvini?  «Molto bravo. Ha fatto di un partito localistico, un partito nazionale. Sta sul Piave, non più sul Po. Ha trasformato la Lega secessionista, in una Lega lepenista. E ho il sospetto che sotto il lepenista, ci sia una personalità più sorprendente e meno estremista». Cioè?  «Un gaullista. Un uomo e un partito con cultura di governo. Un gaullista democristiano, se vuoi. Ha comunque fatto un lavoro straordinario». Vuoi rientrare in politica?  «Se significa candidarsi e avere ruoli di partito, la risposta è no. Non è giusto, né opportuno. Contribuirò alla politica dicendo la mia e scrivendo sui giornali». Fa con calma. Prima che la destra rientri nel giro, campa cavallo.  «Se Renzi si incarta, il centrodestra può vincere le elezioni anche tra un anno». di Giancarlo Perna

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