Perna intervista Guazzaloca: "Ho battuto gli ex Pci in casa, sconfiggerò pure il cancro"
A metà della lunga strada che da Piazza Maggiore va verso le colline di Bologna, abita l'ex sindaco Giorgio Guazzaloca nel punto esatto in cui lo smog della città cede all'aria fine delle alture. «Può sentirlo questo profumo di boschi?», chiedo a Guazzaloca che da tempo respira con l'aiuto dell'ossigeno per la ricaduta del mieloma che lo affligge da lustri. «Certo che lo sento, Perna. Mi prende per rottame? Convivo pazientemente col mio intruso ma non mi faccio mancare nulla. Perciò è avvertito: a fine intervista, scendiamo al ristorante per un piatto di tortellini come non ne ha mai assaggiati», dice il Lech Walesa felsineo che nel 1999 sbaragliò i rossi nella loro roccaforte e fu per un quinquennio primo sindaco non Pci della Bologna post bellica. L'ex sindaco ed ex titolare di una rinomata macelleria si è un po' appesantito per via del cortisone che gli è prescritto e che gli arrossa le gote. Ma, al solito, ha vivacità da vendere. Dalle narici sporgono i tubicini e cammina tenendo in mano la sacca con la bomboletta d'ossigeno. Più tardi, ci presenteremo così al ristorante dove ha spazzolato i tortellini in metà tempo di quanto abbia fatto io, innaffiandoli con una coppa di Albana e brindando al celere tramonto di Matteo Renzi gli sta cordialmente sull'anima. «Scoprì la sua malattia, un mese dopo l'elezione. Prima la gioia, poi la batosta. Cos'ha pensato di questa coincidenza?», chiedo sedendo accanto al sindaco nella mansarda dell'ampio appartamento dove vive con Egle, sua seconda moglie. «Mi è sembrato nella norma - risponde filosofico -. Ho avuto una vita a fisarmonica. Con alti e bassi. La malattia è però un evento abnorme. Il mieloma spacca le ossa e ho subito tre trapianti di midollo». «Ci vuole pazienza», dico per dire. «Pazienza è un eufemismo da damerino, Perna - scatta -. Ci vuole il coraggio di vivere e quello ti viene perché non ci sono alternative. La cosa peggiore è il dolore fisico e io ne ho provato tanto». Inghiotto la reprimenda e cambio e registro. «Com'è che lei, bolognese doc, non è mai stato comunista?». «Mia mamma era una cattolica degasperiana che odiava in egual modo fascisti e comunisti. Quando c'era la Festa dell'Unità, si chiudeva in casa. Io non ho mai avuto né la tentazione, né l'ossessione del Pci. Da giovane, mi piacque la scontrosità di Ugo La Malfa e ho sempre votato repubblicano». «Gioventù bruciata la sua. Fece solo le elementari e fu bocciato alle medie. Discolo o zuccone?», chiedo. «La scuola mi stava stretta. Ho però recuperato - sorride, il Guazza al ricordo. Un amico più anziano mi fece leggere i libri giusti: Hemingway, Steinbeck, Cronin. Da solo, ho poi affastellato biografie, saggi storici, altri romanzi. Finché ho cominciato a divorare libri scritti da giornalisti: Montanelli, Bettiza, Afeltra, Pansa. Il giornalismo era la mia vocazione. Da trent'anni sono pubblicista con collaborazioni al Resto del Carlino (quotidiano di Bologna, ndr) e altre testate». Entra la signora Egle a salutare e confermare al marito che ha prenotato al ristorante. Tornerà tra un'ora a prenderci. «La sua prima moglie morì giovane lasciandola con due bimbe piccole», dico appena è uscita la seconda. «Se ne andò a 33 anni. Io ne avevo 35. La bambina più grande era di nove anni, la piccola di nove mesi. La disperazione fu tremenda. C'era il dolore e l'angoscia di crescere le creature da solo. Decisi che avrei onorato mia moglie, non col lutto ma portando a compimento ciò che le era stato impedito. Avvicinai una vedova con due figli piccoli e le proposi di abitare da me per allevare anche le mie bambine. Io mi sarei occupato di tutti ed entrambi avremmo risolto un problema pratico. Se poi fosse nato un sentimento, tanto meglio. Accettò. Sei mesi dopo la scomparsa della mamma, le mie figlie ebbero di nuovo chi le accudiva con amore. Quel rapporto durò quindici anni. Ancora oggi, i figli della mia compagna di allora sono come fossero i miei e i nostri ragazzi si considerano fratelli. Intanto, la mia primogenita è diventata prof. di Storia all'università e l'altra vive negli Usa col marito dirigente della Ferrari. Nel Duemila ho sposato Egle, divorziata con due figli. Anche qui, i ragazzi - i figli di Egle, le mie figlie e i figli acquisiti - sono una sola famiglia, senza differenze. Un piacere vederli», tira il fiato Guazzaloca, osservando divertito la confusione in cui mi ha gettato con la sua biblica sfilata di pargoli e mogli. «Un vero patriarca antico!», esclamo. «Questo la dice lunga sulla mia determinazione - si pavoneggia -. Mai avuto vita facile. Ho superato il vaglio di 27 elezioni, da quella di sindaco, alla presidenza dei macellai di Bologna, vicepresidente nazionale della categoria, presidente della locale Camera di Commercio, consigliere di Mediobanca, ecc. Non male per un titolare di licenza elementare», dice col tono compiaciuto con cui don Benedetto (Croce) ricordava divertito di non essere laureato. Com' è che nel 2004 i suoi concittadini non l' hanno rieletta, tornando sotto l' ala diessina? «Il mio avversario, Sergio Cofferati, avrebbe battuto anche Obama. Era dio in terra dopo il comizio con trecentomila persone alle Terme di Caracalla che la leggenda ha fatto lievitare a tre milioni. Inoltre...». Inoltre? «Sconfitti la volta precedente, i comunisti hanno solleticato lo spirito di appartenenza mobilitando il mobilitabile». Nessuna colpa sua, solo preponderanti forze avversarie? «Un' elettrice mi disse: "Lei è stato bravo. Ma mio nonno era partigiano e ho votato Ds". Perfino in punto di morte, i comunisti pensano al partito e fanno giurare ai nipoti di essergli fedele». Capetoste i suoi concittadini! «Giacomo Biffi, cardinale di Bologna e mio amico, diceva: "I bolognesi sono stati papisti col Papa, fascisti col Duce, comunisti con Stalin"». Quando era macellaio di successo aveva una predilezione professionale per uno specifico taglio? «(Ride) Non credo ci siano macellai con preferenze di tagli. Ne avevo per qualche bella signora che veniva in negozio». Cos' è politicamente, anche aldilà dei partiti? «Il nostro è un Paese in declino e senza regole. Chi dovrebbe imporle non ne ha l' autorevolezza. Anche la Chiesa che è sempre stata punto di riferimento, oggi non è quella che fu. Troppi scandali e contraddizioni». Non mi ha però detto con chi sta. «Mi schiererò, passata la fase di Renzi che fa la testa d' ariete contro sindacati e girotondini, ma non costruisce nulla di solido. Pensa di risolvere tutto con una pacca sulle spalle. Intanto nell' Ue, Francia Germania e Inghilterra neanche ci vedono». Come giudica il fiorentino? «L' uomo solo al comando, circondato da segretari che dirige a bacchetta. Non lo vedo fare il gioco di squadra con gente di alto livello. Gli Spadolini o i La Malfa, per intenderci. Rappresenta una fase di passaggio, non una soluzione stabile». Non lo voterà? «Ha abbastanza voti, non ha bisogno del mio. La bulimia che ha per le interviste sono segno di intima insicurezza. È come se temesse, non comparendo un giorno, di essere dimenticato l' indomani. Mi piacerebbe però facesse una cosa finché è in sella». Facciamogliela sapere. «Una scuola per politici e pubblici amministratori, tipo l' Ena francese. Per avere al governo gente ferrata, anziché improvvisatori del suo stampo». Una cosa gli va riconosciuta: sta mandando la "ditta" in soffitta. «Non credo al dissidio tra la ditta e Renzi. È il gioco delle parti che serve al Pd per prendere i voti a destra con Renzi e conservare quelli a sinistra con Bersani». Considera Ignazio Marino un suo collega? «È l' esempio di come i nipotini del Pci facciano eleggere i sindaci d' imperio, tanto poi ad amministrare pensano loro. Con Marino gli è andata male perché è uno spaesato ingestibile. Non è un collega, è un chirurgo. Come collega vedrei invece Silvio Berlusconi sindaco di Milano». Romano Prodi, il suo più illustre concittadino? «Capace ma sopravalutato. Non ha mai avuto un proprio seguito. Per farsi eleggere ha cavato il sangue all' ex Pci. Del suo sangue invece non si sa nulla». Cosa pensò quando all' alba del 2011 le piombò in casa un pm coi carabinieri per perquisirla, sospettandola di corruzione? «Mi cascò il mondo addosso anche se sapevo che era un granchio. Un anno e mezzo dopo gli stessi pm archiviarono». Si scusarono? «Ne incontrai uno al Caffè. Tutto mellifluo mi disse, "signor sindaco come sta?", e allungò la mano. Non la presi e uscii. Dopo quella montatura, il mieloma che era scomparso è tornato. E sto come mi vede». Ha rimpianti? «Nessuno. Guardo al futuro». di Giancarlo Perna