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L'ultimo capriccio della Boldrini:dare la Camera alle Onlus rosse

Matteo Legnani
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di Franco Bechis @francobechis Laura Boldrini ha scambiato la Camera dei deputati per una dependance dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati o di una delle tante organizzazioni umanitarie in cui ha costruito la sua straordinaria carriera professionale. Tanto da volere assegnare locali e addirittura appartamenti di servizio dei deputati a qualcuna delle organizzazioni sociali che lei più ama. Il presidente dell'Assemblea di Montecitorio ha spiegato la sua decisione durante le riunioni dell'ufficio di presidenza di fronte a una platea di parlamentari attoniti. Prima ha comunicato di avere rinunciato all'alloggio di servizio personale, poi che la stessa rinuncia è stata estesa anche agli alloggi dei vicepresidenti e dei questori che nel frattempo non l'avevano volontariamente imitata. Infine di avere scelto di destinare quei locali così liberati ad organizzazioni sociali di cui in seguito avrebbe precisato la natura. I deputati convocati alle riunioni prima hanno sgranato gli occhi, poi hanno cercato cortesemente di spiegare i problemi giuridici che sarebbero sorti. Infine hanno perso la pazienza, come è accaduto al questore del Pdl, Gregorio Fontana, che ha stigmatizzato: «Guardi che la Camera non è una onlus, né può fare finta di esserlo, perché la Costituzione le attribuisce altri compiti…». La conversione L'idea di una conversione umanitaria di parte della Camera è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso della pazienza mostrata dai vari gruppi presenti in ufficio di presidenza. Fin dall'inizio la Boldrini non sembra avere entusiasmato i suoi colleghi. Interpretando il suo ruolo come quello assegnato a una Regina (ormai è una moda fra le alte cariche dello Stato) il presidente della Camera è solita prendere in solitudine le sue decisioni, annunciarle al popolo, e poi mettere gli altri esponenti politici davanti al fatto compiuto. Siccome le prime mosse della Regina di Montecitorio riguardavano i costi della politica, uno dei temi per cui i parlamentari sono oggi più impopolari, si sono trovati tutti con le spalle al muro dopo le sortite pubbliche della Boldrini. Replicarle e ribaltare le sue decisioni, sarebbe stato naturalmente impopolare. Così i vertici politici della Camera hanno fatto buon viso a cattivo gioco, schiumando però di una rabbia che traspare con evidenza dai primi verbali dell'ufficio di presidenza della nuova legislatura appena resi pubblici. Hanno deglutito amaro quando lei ha annunciato le decisioni prese per tutti nella solitudine di un tête-à-tête con il presidente del Senato Piero Grasso. E poi l'hanno attesa al varco dello scivolone che non è tardato ad arrivare.  È stato il 28 marzo scorso che è esplosa la questione degli appartamenti di servizio dei vertici della Camera che la Boldrini vorrebbe assegnare a qualche organizzazione per un «uso sociale». Anche perché tecnicamente la Camera ha la disponibilità diretta di un solo locale: quello della Boldrini che prima era utilizzato dal suo predecessore Gianfranco Fini. È il solo interno al palazzo di Montecitorio. E a dire il vero- salvo un breve periodo in cui vi abitò Irene Pivetti nel biennio 1994-1996- normalmente è stato utilizzato come locale di rappresentanza per incontri e pranzi di lavoro dei vari presidenti che si sono succeduti alla guida della Camera. La decisione della Boldrini di non abitare lì, pur presentata come un gran gesto, è stata invece nel solco della pura tradizione. Essendo interno al palazzo dell'assemblea, ovviamente quell'appartamento non può essere dato in uso a soggetti esterni, anche per motivi di sicurezza. Il beau geste quindi non produrrà alcun tipo di risparmio, e semplicemente resteranno inutilizzati dei locali a meno di destinarli a un uso istituzionale extra (riunioni di commissioni, etc…).  Disdetto l'affito Diversa la situazione logistica degli altri appartamenti, che per altro non sono molti essendo venuti a mancare nella scorsa legislatura i locali all'ultimo piano di palazzo Marini, di cui è stato disdetto l'affitto. Tutti gli altri sono sparsi in immobili di proprietà del demanio, che li ha concessi alla Camera per i fini istituzionali propri. Secondo il contratto di concessione - che evidentemente la Boldrini non conosceva - in caso di mancata fruizione gli immobili debbono essere retrocessi al demanio dello Stato che poi ne deciderà liberamente l'utilizzo. Negli uffici di presidenza la Boldrini ha chiarito anche come si è tagliata lo stipendio: ha rinunciato al 50% della indennità di ufficio da presidente della Camera (circa 2 mila euro) e a 1.845 euro di rimborso forfettario delle spese di segreteria dei deputati. Ha rinunciato anche a 300 euro al mese di rimborso spese telefoniche e a 1.100 euro al mese di rimborso taxi per Fiumicino. Iniziative certamente lodevoli: bisogna però ricordare che il presidente della Camera non spende nulla in taxi per Fiumicino, perché ha auto e autista di servizio per spostamenti. Non spende nulla in telefono perché ogni sua chiamata è spesata dalla presidenza della Camera. Non spende nulla in attività politica, perché ben più di quei 1.845 euro al mese cui ha rinunciato sono pagati ogni mese per lei dalla presidenza della Camera, che ha preso in carico anche i suoi collaboratori di fiducia. Al momento per altro la Boldrini, che viveva a Roma già prima di fare il deputato, non ha comunicato la sua rinuncia alla diaria di 3.503,11 euro netti al mese che le rimborsa un vitto e alloggio nella capitale per cui lei non deve spendere nulla.

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