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Vittorio Feltri: Gianni Brera, il giornalista migliore di tutti. Così bravo da non avere un successore degno

Andrea Tempestini
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Venticinque anni orsono moriva in un incidente automobilistico Gianni Brera, che considero il migliore giornalista italiano di tutti i tempi. Si dedicava prevalentemente allo sport, una specializzazione che per molti è una diminutio. Ma nel caso di Gioan le cose non stanno così. Egli ha trasformato le cronache calcistiche e ciclistiche in un'arte raffinata e talmente elevata da apparire miracolosa. La sua prosa torrentizia ha fatto scuola. Anzi, avrebbe dovuto fare scuola. In realtà Brera pur avendo avuto decine di volonterosi imitatori non è mai stato neanche lontanamente eguagliato. È rimasto e rimarrà l'unico prodigio della carta stampata. Scriveva come un Dio, raccontava gli avvenimenti agonistici con la stessa di Omero. Leggerlo significava pascersi di epica e di poesia. Aveva una cultura mostruosa e una ricchezza di vocabolario inarrivabile anche per Montanelli, il Papa dei redattori patri. Ebbe una vita giovanile difficile. Orfano fin da ragazzo, fu allevato dalla sorella che non gli risparmiò schiaffoni e rimbrotti per costringerlo a studiare. Vinse lei. E Gianni si laureò in Scienze politiche, giocò al calcio in quarta serie, ma non essendo un campione del pallone preferì narrarlo. Aveva un talento impressionante. A meno di trent'anni fu nominato direttore della Gazzetta dello Sport. Ma lui preferiva dirigere se stesso. I suoi articoli si bevevano, erano rosolio. Per comprenderli bisognava però conoscere l'Italiano perfettamente, altrimenti risultavano di difficile digestione specialmente al pubblico spesso modesto dei fogli sportivi. Quando ero all'inizio di questo mestiere, ora in stato preagonico, compravo ogni settimana il Guerin sportivo, da lui guidato con maestria. Mi nutrivo alla sua rubrica meravigliosa: l'Arcimatto. Indimenticabile fonte di piacere per chi amasse il giornalismo alto e poderoso. Come tanti scrittori importanti, anche Brera traeva la sua forza espressiva dall'alcol. Beveva e vergava con uno slancio e una precisione da far paura. Memorabili le sue scazzottate con Gino Palumbo (altro campione) allo stadio per motivi calcistici e non solo. Personaggi così sono stati uccisi dalla televisione, che ha appiattito la letteratura sportiva. Nel 1988 ero inviato del Corriere della Sera a Seul, quando Gianni, sposando una idea socialista, sponsorizza l'idea di portare le Olimpiadi a Milano. La redazione mi chiede un pezzo sulla questione e io lo faccio esprimendo la mia contrarietà ai giochi, motivandola col fatto che il capoluogo lombardo era privo di strutture idonee: non ha una piscina olimpica o olimpionica (non ho ancora capito quale sia il termine corretto), non ha più il Palazzo dello Sport distrutto dalla nevicata dell'85, non ha uno stadio per l'Atletica leggera. Gianni mi risponde sull'Avanti e me ne dice di ogni colore. Replico così: caro Brera hai toccato il fondo. Della bottiglia. Rientrato dalla Corea, faccio un sopralluogo a Milano e ho la conferma che qui non c'è nulla per ospitare le Olimpiadi. Non importa. Nel 1992 dirigo l'Indipendente e a pranzo mi reco abitualmente al Ristorante da Roberto, in corso Sempione. Ogni tanto a un tavolo scorgo Brera ma fingo di non vederlo, memore della bega. Un giorno un cameriere mi porge una bottiglia di Grignolino e mi dice: questa è offerta da Gianni. Sono costretto ad alzarmi per andare a ringraziarlo. Mi avvicino timidamente e lui che mi fa una festa imprevista. Mi invita a sedermi al suo tavolo e mi inonda di narrazioni da ascoltarsi a bocca aperta: aneddoti, disquisizioni culturali. Ascolto incantato, ma, poiché non mi fido di nessuno, prendo di nascosto degli appunti, poi torno al giornale e verifico sulla Treccani: ciò che egli mi ha detto è tutto esatto. Non mi ha mai spacciato una cazzata per verità. Era un genio assoluto. Diventammo amici. Al punto che un giorno, dopo avermi dichiarato di non aver mai scritto gratis neanche una cartolina, mi offrì gratis una serie di articoloni inediti. Che, con somma gratitudine per l'autore, mi affrettai a pubblicare sul mio Indipendente. Che - magia breriana -: guadagno in poco tempo 7-8 mila copie. Questo per dire che razza di fenomeno era Gianni. Mi dispiace che sia morto in quel modo, in auto dopo una cena con amici. Mi dispiace soprattutto che uno così bravo non ci sarà mai più e io non potrò giovarmene. di Vittorio Feltri

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