Morte di Piero Ostellino, Vittorio Feltri: addio al giornalista che svelò quanto è brutto il comunismo
Anche Piero Ostellino se ne è andato. Morto. Avrebbe compiuto 83 anni a ottobre. Da qualche tempo era inattivo. Stanco, poca o zero memoria. Succede a noi vecchi. Lavoriamo tanto volentieri, poi arriva il giorno che la testa si spegne e ti passa la voglia non solo di scrivere, ma pure di vivere. Piero mi raccontò di essere stato assunto al Corriere da Giovanni Spadolini, già direttore giovanissimo del Resto del Carlino: 28 primavere. Per poco tempo lavorò al desk della politica internazionale, poi nel '70 fu nominato corrispondente da Mosca. E qui dimostrò di essere un fuoriclasse. Fu il primo e l'unico giornalista italiano a raccontare la esistenza grama dei cittadini dell'Unione Sovietica. Riferiva delle questioni del Cremlino, e lo faceva con accuratezza, ma il suo maggiore impegno era dedicato alle faccende di strada. I suoi articoli squarciavano il velo sul misterioso e triste trantran del Paese comunista. Li leggevo avidamente, li gustavo quali prelibatezze, tali erano. In pratica le corrispondenze ostelliniane erano quadri espressionisti che consentivano di assaporare sensazioni ed emozioni forti derivanti da descrizioni abbozzate eppure grondanti verità palpabili. Piero se mi leggesse forse si offenderebbe, però la mia opinione è che egli fosse soltanto un immenso cronista capace di cogliere, dalla osservazione di un volto, lo stato d'animo di un popolo infelice, ingabbiato in un sistema politico e sociale privo di pietà e di solidarietà. A un certo punto la Cina di Mao divenne più interessante dell'Urss, e il giornalista fu destinato a Pechino, una capitale che si apprestava a sposare il capitalismo pur conservando la dittatura rossa. Nella nuova sede Ostellino si sforzò di essere all'altezza della propria fama. Fece un ottimo lavoro benché la Cina fosse addirittura più chiusa e incomprensibile della Russia. I gialli non parlavano inglese e colloquiare con loro era una impresa. La corrispondenza proseguì alcuni anni svelando parecchi misteri pechinesi. I lettori del Corriere della Sera ebbero modo di scoprire un mondo misterioso. IL RITORNO IN ITALIA Piero rientrò in patria al principio degli anni Ottanta, quando il direttore del quotidiano, Franco Di Bella, venne giubilato per la grana della P2, e sostituito da Alberto Cavallari. Il quale non lo fece mai scrivere, forse ne detestava lo spirito liberale. Ostellino se ne disperava. Tre anni dopo il suo infausto insediamento, Cavallari vide scadere il contratto e si dimise. Si trattava di scegliere un nuovo comandante della corazzata giornalistica. Fu nominato Gino Palumbo, un mostro di bravura che aveva diretto benissimo il Corriere di Informazione e la Gazzetta dello Sport, da questi portata al record delle vendite, oltre un milione di copie. Accadde una tragedia: Gino si ammalò di cancro e rifiutò il timone del primo quotidiano nazionale per cause di forza maggiore. L'editore, sconvolto, fu costretto a cercare un sostituto: venne cooptato Ostellino. Ero uscito disgustato dal Corriere un anno e mezzo prima, nel 1983, per dirigere Bergamo Oggi. Ma salutai con entusiasmo la salita sul podio di Piero. Del quale, per amicizia nei suoi confronti, presi il fondo di saluto ai lettori e lo pubblicai in terza pagina sul mio piccolo quotidiano di provincia. Il dì appresso il neo direttore mi telefonò allo scopo di ringraziarmi per l'omaggio che gli avevo reso, e nel congedarmi mi disse: sappi che per te le porte del Corriere sono sempre aperte. Me le spalancai da solo 24 ore dopo presentandomi nell'ufficio di Ostellino. «Eccomi, sono già qui», sussurrai imbarazzato, non troppo. Egli sorrise e mi assunse immediatamente, era un uomo di parola. TRIENNIO ESALTANTE Mi promosse inviato speciale, fu la mia fortuna. Con lui in plancia trascorsi un triennio esaltante, mi affidò servizi di rilievo tra cui, memorabile, quello sul processo Tortora. Ero innocentista, in piena solitudine, difesi il personaggio televisivo contro l'opinione generale della stampa. Piero mi lasciò fare, neanche una telefonata per indurmi alla prudenza. Gliene sarò riconoscente in eterno. Ostellino, una volta sollevato dalla direzione, rimase al Corriere quale editorialista. Lustri di lavoro ben fatto, anticonformistico, preciso e puntuto. Allorché fu obbligato ad abbandonare via Solferino (beghe economiche) egli perse mordente. Ingaggiato dal Giornale, passò un periodo di serenità, ma non era più grintoso. Talvolta veniva nel mio ufficio e chiacchieravamo. Spiattellavamo i nostri ricordi senza pudore, da cui emergeva la tipica nostalgia dei pensionati. Caro Piero, forse è tardi per ammetterlo: tu mi hai tolto dal letame e te ne sarò grato sempre, benché il mio sempre non sarà lungo. di Vittorio Feltri