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Otto Bitjoka, un grande africano: "La sinistra usa i neri come carta igienica, ora basta"

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Davide Locano
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«Attenzione cari fratelli e figli miei, siete usati e sarete sistematicamente buttati via come la carta igienica, mi permetto di consigliarvi da vecchio leone disincantato. Non è più accettabile essere strumento di lotta politica nelle mani di una sinistra contro i sovranisti populisti». Otto Bitjoka ama sorprendere, e non le manda mai a dire. E interviene a modo suo - dall'alto della sua stazza di camerunense bantu con laurea alla Cattolica di Milano, imprenditore e banchiere naturalizzato italiano (ha fondato Extrabanca) - sulla diatriba in atto tra buonisti e cattivisti, sospinta dall'opposizione piddina e Leu contro la Lega di Salvini. Lo fa con un incandescente post su Facebook, che poi commenta e dettaglia con Libero: «Il nostro problema - scrive sul social network - si affronta con un approccio post-ideologico. Ai giovani leaderini sindacalisti dei braccianti (ogni allusione all'italo-ivoriano Aboubakar Soumahoro è molto probabilmente voluta, ndr) consiglio di guardare verso le nostre parti, l'Africa ha il 68% delle terre incolte del pianeta, il 65% della forza lavoro trova occupazione nell'agricoltura. Impegniamoci tutti per fare diventare il nostro amato Continente, il granaio del mondo. Il nostro sguardo deve andare oltre, la nostra capacità d'auto strutturarsi è messa alla prova in questo particolare momento storico in Italia. Questa è la nostra vera sfida!» Leggi anche: "Corteo per gli immigrati". Pd da ridere: perché non scende più in piazza Scusi, Bitjoka, ma lei - con l'esperienza e la credibilità che ha - non si rende conto che denunciando le strumentalizzazioni che la sinistra farebbe del problema migratorio sta facendo un gran regalo a Salvini? «La sinistra ha sempre considerato l'immigrazione come una questione di accoglienza dove manifestare la sua magnanimità. Lo sa anche lei, che dico il vero: la sinistra ha sempre strumentalizzato». Lo vede che è di destra? «Macché: anche la destra ci ha sempre criminalizzato, l'obiettivo è stato uguale, mettere nel tritacarne gli immigrati». Allora questo o quello per lei pari sono! «Sì, ma gli immigrati, negli anni, si sono fidati di più della sinistra che della destra, salvo poi renderci conto che ci usano sempre e ci gettano. Io non voglio dare l'idea di essere diventato di destra: non è così. Sono un non-allineato. Affermo però che la sinistra ha tradito e adesso gli immigrati sono un po' come orfani. Mentre io personalmente sono sicuro che si può - e oggi si deve, visto che è al potere - negoziare con l'istituzione gestita dalla destra. Se vogliamo disintermediare il nostro destino dobbiamo imparare a parlare con tutti. Con Salvini sarà difficile ma si può parlare. Leggo che la sinistra preannuncia per settembre una grande manifestazione antirazzista: benissimo, facciano ciò che vogliono, ma non si arroghino l'esclusiva della rappresentanza degli immigrati». Ma cosa dovrebbe fare la sinistra, secondo lei? «Se fosse appena appena intelligente potrebbe mettersi accanto all'Unione delle comunità africane in Italia per sostenerla, ma perderebbe protagonismo e invece vuole essere al centro dell'attenzione. Siamo noi però a voler essere e poter essere protagonisti e non vogliamo essere a rimorchio delle agende altrui…» Scusi, ci faccia capire: lei si era candidato col Pd… «L'ultima volta, sì, alla Regione Lombardia, con la lista di Ambrosoli. In precedenza due volte con i verdi del Sole che ride. Oggi ho preso atto che sono un indipendente e quindi nessuno mi vuole perché non mi metto in riga». Cos'è per lei l'integrazione? «È il successo attraverso la meritocrazia. Io non penso che gli africani in Italia debbano portare un pezzo d'Africa qua, dico che sono italiani, ma devono vivere guardando l'Africa. La sinistra ha avuto spesso la tendenza di cooptare i mediocri, in cambio della sudditanza. Perché tutti vogliono parlare di integrazione, ma nessuno la vuole sul serio, nessuno vuole che in nome dell'integrazione un immigrato diventi dirigente, o docente…» Ancora una cosa: lei ama definirsi provocatoriamente "negro", non dice mai "nero". Perché? «Perché sono titolato a dirlo, so di cosa parlo, ho studiato per sette anni di letteratura africana. È una scelta che risale alla corrente letteraria della negritudine nata negli anni Cinquanta che aveva visto giusto. Oggi del resto si parla di afrocentrismo, di afrocrazia… c'è una semantica nuova, serve una nuova grammatica che richiede anche una nuova ortografia». Ok, ma per dire cosa, al di là delle parole? «Per dire che tra 15 anni sarà l'Africa a dare le carte dello sviluppo. Per gli africani emigrati, per quelli che saranno rimasti e per il mondo». di Sergio Luciano

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