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Ivano Ciccarelli, l'antifascista e ultrà dei migranti che umilia il Pd: compagni messi malissimo

Giulio Bucchi
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A guardarlo, con quel fisico nerboruto da 140 chili, quella barba e quella camicia un po' stropicciata, ti sembra un vecchio e tosto militante di CasaPound. Il problema è quando Ivano Ciccarelli da Marino, nei Castelli Romani, prende la parola. E non tanto per la sua cadenza un tantino romanesca, che spazia da «sti poracci» alla «rottura de cojoni», quanto per le cose che pensa e dice, per il suo comunismo in salsa burin-glocal, che abbina toni e stile borgatari a messaggi filantropici universali. Ivano Ciccarelli è diventato il nuovo idolo della sinistra, l' icona della riscossa, la voce del popolo e della gggente che non si sentiva da tempo. Le sue gesta eroiche si riassumono in un intervento di dieci secondi nella trasmissione In onda, in cui ha detto: «Sti poracci, oltre a tutta la navigata, la sosta e dieci ore de pullman, quando arrivano qua se devono pure godé sta rottura de cojoni dei fascisti». Tripudio, applausi, discese in campo ed esortazioni a candidarlo e farlo ministro in pectore, ossia sul suo petto villoso. Le parole dell' Ivano il Teribbile si riferivano all' accoglienza di un centinaio di migranti sbarcati dalla nave Diciotti a Rocca di Papa, un borgo a ridosso di Roma dove la Chiesa si è degnata di farsi carico, per una volta, dei presunti profughi, e dove nondimeno CasaPound è andata a protestare. Basta coi salotti - Quei dieci secondi di intervento, dopo 58 anni di anonimato, sono diventati per Ivano 58 ore - e rischiano di essere molte più - di fama, o meglio «de fama». Ma cosa avrà questo omaccione della zona a Sud di Roma, figlio di un operaio e di una bracciante agricola, con militanze sparse in vari movimenti di protesta, per piacere tanto alla sinistra? Semplicemente Ivano parla come magna, e a guardarlo pare che magni molto. Non si perde in sofismi, nel linguaggio ricercato delle élite, né indossa la camicia bianca con cravatta scura d' ordinanza nel Pd, o non si fa crescere la barbetta martiniana, pallida copia di quella salviniana, ma preferisce la barba sfatta e incolta. Ivano suona verace, autentico, a differenza di tanta sinistra che si è chiusa nel salotto, si è dimenticata le strade, le periferie e le piazze, e perciò si è vista svuotare anche le urne. Ivano è uno che sta fuori dal Palazzo, e sembra nuovo proprio perché viene dal Novecento, non usa Facebook, Uordapp come chiama lui Whatsapp, e a mala pena ci ha 'na mail; ma ha la faccia e i modi della sinistra proletaria, quella che usciva dai campi e dalle fabbriche ed era vicina al popolo proprio perché in mezzo al popolo ci era nata. La cosa che rattrista è che gli ex-comunisti abbiano dovuto aspettare Ivano per accorgersi di dover tornare a parlare alla gente e a parlare come quella; e che, non avendo più Rottamatori né Papi Stranieri, ora debbano affidarsi al barricadero di Rocca di Papa, il quale tra l' altro getta fango sulla sinistra istituzionale, per lui «un vomito» che «fa orrore». Peccato tuttavia che Ivano - nome da personaggio coatto di Verdone (cit. nextquotidiano.it) e stazza da Mario Brega, quello che non era «comunista così», cioè a un pugno solo, ma «comunista cosìììì», cioè a due pugni - non faccia altro che riscaldare la solita minestra della sinistra perdente, tutta buonismo e accoglienza. Il Manifesto secondo Ivano recita che «il futuro sta nell' integrazione», che accogliere centinaia di disperati è un fatto di «buon senso», e che non bisogna «provare terrore per l' immigrato che non ci ha un cesso dove fare la pipì e me la fa sotto casa». Riecco i pauperisti - Ivano è il teorico di una sinistra pauperista, convinta che il reddito di cittadinanza sia l' unico modo «per redistribuire la ricchezza»; ed è anche l' artefice di una proposta mirabolante: da portavoce dei Verdi a Marino, suggeriva di abbattere la fontana dei Quattro Mori, simbolo della vittoria dell' Occidente cristiano contro gli Ottomani nella battaglia di Lepanto. Dicono abbia il cuore tenero, lo chiamano Bambi, perché da ragazzino faceva il Bambinello nel presepe vivente, lo descrivono come un idealista, il Che Guevara dei Castelli, ma se la sinistra romanesca deve ripartire da Ivano da Marino, be' allora viene spontaneo dire: aridateje Marino, nel senso di Ignazio. di Gianluca Veneziani

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