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Non è l'Arena, ma Arturo e Manuel erano davvero nel posto sbagliato?

Giulio Bucchi
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Il tema dell'influenza geografica sui processi antropici rivela origini lontane. La sua formulazione più scientifica può essere fatta risalire alla fine del 1800, nel momento in cui si comincia ad identificare il territorio come uno “spazio tangibile”, costituito di elementi collegati tra loro, in una visione cartesiana, entro la quale è possibile cogliere relazioni causali tra eventi. In tal senso, il dibattito scientifico inizia a parlare di determinismo geografico: al territorio viene, in altre parole, attribuita la funzione “causa” e, al modo di abitare, l' “effetto” conseguente. In tale visione, le modalità comportamentali dell'uomo sono lette come una risposta all'ambiente in cui esso vive che, per sua natura, è forzato da azioni perturbanti. In tal senso vanno intesi i cambiamenti climatici, la scarsità di risorse, i rischi individuali o concatenati, il degrado sociale ed ambientale, che rappresentano solo alcuni dei molti e vari fattori che minacciano le città, essendo in grado di innescare processi capaci di alterarne e modificarne lo stato. In questa prospettiva si dispiegano due chiavi di lettura antitetiche: una “positivista” relativa alla capacità di resilienza umana, che si oppone a tali fattori critici ed una, invece, “generatrice di gravi devianze” che vanno sempre più accentuandosi in età adolescenziale. Rispetto a quest'ultima visione del fenomeno, occorre rilevare una discontinuità nella narrazione a cui siamo stati abituati e che si rivela evidente con particolare riferimento all'episodio di aggressione subita dal giovane Arturo a Napoli, ad opera di un branco di adolescenti. Arturo è stato progressivamente fatto oggetto di una mediatizzazione sempre più attenta a rappresentarlo come il paradigma della violenza cieca e ingiustificata, colpevole soltanto di essere “un ragazzo sbagliato, al momento sbagliato”. Eppure, questa narrazione, è stata nel tempo arditamente ribaltata. Il movimento di pensiero e di azione civile che è nato intorno a questa vicenda, ha inteso dimostrare che Arturo poteva essere, paradossalmente, “il ragazzo giusto, al posto giusto”. Una evidente iperbole del pensiero che, seppur oltrepassando i limiti della ragionevolezza, risponde al principio della “prospettiva invertita” noto all'arte figurativa. Tale principio prospettico, che si oppone alla prospettiva lineare, che colloca il punto di fuga sullo sfondo dell'immagine, lo riposiziona all'opposto d'avanti all'oggetto rappresentato. Il ribaltamento del punto di vista consente di rovesciare la rappresentazione stereotipata che consegna alla vittima un ruolo passivo. Al contrario la vicenda di Arturo diviene pungolo di coscienze, fino ad assurgere a simbolo di riscatto per un rinnovato impegno di responsabilità civile. Evidentemente, questa narrazione smonta il determinismo geografico secondo la quale il luogo è sempre in relazione causale con quello che vi accade. Una relazione causa-effetto che vorrebbe tranquillizzare tutti quelli che ritengono basti evitare certi posti e certa gente. Analoga espressione relativa al “momento e posto sbagliato” sta risuonando mediaticamente in relazione al più recente caso di Manuel Bortuzzo. Purtroppo, la realtà smonta questo sillogismo! Rende debole e sfuggente il modello geografico sic et simpliciter, richiedendo approcci descrittivi più robusti ed elaborati che vedono nella società e nella città, come sostiene Lefebvre, un sistema complesso, non lineare, capace di auto-organizzazione, costantemente in mutamento sotto l'azione di fattori perturbanti, di tipo esogeno ed endogeno. Pertanto, il possibile focolaio di violenza giovanile non è, almeno non sempre, riferito al locus, ma può svilupparsi in ogni angolo in cui, gruppi di adolescenti, di qualsiasi estrazione e classe sociale, decidono di unirsi e di esprimere, all'ennesima potenza, il proprio disagio interno. Di fronte ai vari problemi sopra citati, le città sembrano giocare un duplice ruolo: da un lato, costituiscono sistemi altamente vulnerabili agli impatti potenziali di tali fattori, dall'altro, le loro stesse caratteristiche e modalità di evoluzione, li generano o li amplificano. La complessità delle variabili in gioco nella genesi della devianza adolescenziale e le loro strette interazioni sembrano suggerire la necessità di analizzare e gestire la risposta dei sistemi urbani ai potenziali impatti di questi fattori, attraverso un approccio sistemico e non estemporaneo, legato alla emotività episodica. Purtroppo, nonostante la consapevolezza che le città siano sistemi complessi da gestire e in ragione del fatto che le connessioni arrivano anche prima delle singole parti, i diversi fattori di devianza giovanile sono quasi sempre trattati separatamente, sia dai decisori che dai tecnici, con il risultato di una crescente frammentazione e conseguente inefficacia delle politiche urbane rispetto al fenomeno. Contro questa tendenza, un numero crescente di ricercatori e organizzazioni internazionali sembra sempre più concordare nell'abbandonare modelli ormai obsoleti di rappresentazione della realtà, evocando una palingenesi di tutta la società, non solo di quei luoghi definibili “a rischio”, nell'auspicio che quando tali approcci diventeranno reali non si sentirà più dire… “era nel posto sbagliato”. di Stefano de Falco (Direttore IRGIT, Istituto di Ricerca sulla Geografia della Innovazione Territoriale, Università Federico II) e Maria Luisa Iavarone (Ordinario di Pedagogia sociale, Università Parthenope - Presidente Ass. ARTUR)

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