Cerca
Cerca
+

Vittorio Feltri e il libro di Bruno Vespa: "Ciò che non sapevate su sudore degli astronauti"

Davide Locano
  • a
  • a
  • a

La dedica con cui Bruno Vespa mi ha fatto pervenire l' ultimo suo libro dice: "Un saluto lunatico". Il giornalista televisivo più bravo del sistema solare è dotato di molti nei, ma non ha quello dei lupi mannari, per cui temo si riferisse al sottoscritto. Ammetto solo in parte. Non è la suscettibilità. È la maleducazione di ospiti e conduttori condiscendenti che mi fa girare i due satelliti, il cui proprietario li lascerebbe volentieri a cuccia. Transeat. In realtà frequentare il suo Porta a Porta è uno dei pochissimi ambienti giornalistici dove il padrone di casa abbia come obiettivo dominante il rispetto del pubblico, al quale egli desidera giungano informazioni chiare. Questo comporta il criterio dell' educazione: Vespa non consente, salvo la sua reprimenda, che ci si dia sulla voce, e lascia che ciascuno tiri fuori dal suo sacco la farina che ha. Giudicherà chi segue il programma. Applica lo stesso criterio nei libri che sforna con la medesima assiduità e un successo simile a quelli di Enzo Biagi. Come il compianto maestro, a differenza di chi è ossessionato dalla politica, Vespa si interessa di tutto, specialmente coglie dove si indirizza la curiosità del cittadino comune. E lì piazza la mercanzia. Prospera perché produce e vende con successo al telespettatore e al lettore vino eccellente, cosa che - mi dicono - faccia già in senso stretto. Non so se poi riservatamente lo usi per celebrare la messa: non mi meraviglierebbe, magari è anche vescovo. L' ultima sua fatica, che non affatica i lettori, si dirige - l' ho intuito un istante dopo (la vanità induce cristiani e atei a leggere prima la dedica) - sulla Luna, cronaca e retroscena delle missioni che hanno cambiato per sempre i sogni dell' uomo (RaiLibri, pagine 273, 19). DUELLO DA TEATRO Titolo alla Lina Wertmüller, ma nessuna prolissità nel testo. Vespa attinge alla sua memoria per raccontare il momento epico del primo "allunaggio" il 20 luglio del 1969. Lavorava in Rai. In studio a Roma troneggiava elegantemente Tito Stagno; a Houston, sede della Nasa, invece regnava, anzi ruggiva Ruggero Orlando. La loro baruffa sull' esatto istante in cui il grosso ragno chiamato Lem posò le sue zampe resta un esempio di dibattito televisivo impareggiabile. Stagno anticipava, Orlando ritardava. Non una imprecazione tra loro, viceversa ci regalarono un duello da teatro dell' assurdo di Ionesco, condotto in un italiano da studiare all' Accademia della Crusca, ormai purtroppo proclive al populismo grammaticale, l' unico che io detesti. Del resto che c'era di più assurdo, impensabile, fiabesco e perciò irrealistico dell' evento che vedemmo sfocato in tivù? La Rai fu all' altezza. Ricordo le spiegazioni limpide, ondeggianti tra la scienza e la mistica, del professor Enrico Medi. Chiunque fosse nell' età della ragione ha memoria di dov' era, con chi stava in quei momenti. Un po' come per l' 11 settembre delle Torri Gemelle. Sono faccende che ci appartengono, magari messe via tra i quaderni dei figli. E se personalmente non ne posso più, e sento un dolore lancinante che lotta con il disgusto, nel rivedere le immagini dello schianto dei due aerei assassini a New York, anziché osservare e riascoltare con la mente cinquanta anni dopo Neil Armstrong e Buzz Aldrin provo belle emozioni. Vespa ci fa essere di nuovo lì. Quella sera, stavo seduto con mia moglie davanti al piccolo televisore Admiral nella mia piccola casa dalle parti di Bergamo. La mia consorte osservò che il paesaggio lunare era come quello che si gode a Bondo, in Val Seriana, un paesino spelacchiato tra i dirupi. Scopro che più o meno le stesse espressioni usò Michael Collins, il terzo astronauta, lo sfigato cui toccò curare il bidone in giro per lo spazio, mentre gli altri due se la spassavano a balzelloni sulla groviera celeste. Leggi anche: Vittorio Feltri apre il fuoco contro Luigi Di Maio Brunone ha colto la Luna al balzo nel recuperare una storia di cui credevo di sapere tutto, mentre scopro di non sapere nulla. La fatica della scienza, ma pure il sudore di questi navigatori che guidano sul serio le loro carabattole come noi, la differenza è che, se avessero sbagliato di un centimetro la curva o di un millesimo di secondo a premere il pedale, ora esplorerebbero un buco nero nella Via Lattea. C' è inoltre la descrizione della lotta allo spasimo tra Usa e Urss per la supremazia nei cieli che immaginavo tuttavia non ritenevo così dannatamente importante: la conquista dello spazio si rifletteva sull' egemonia in terra, e la strategia militare coincide con quella galattica. Però la piccola storia della cagnetta russa di nome Laica, sacrificata in questa guerra nel cosmo, mi ha interessato di più. LA PROSA DELLA FALLACI Tutto ciò mi era (quasi) ignoto, ciononostante credo valga per ciascuno Conosciamo benissimo i sentimenti che allora nacquero in noi che c' eravamo, e che le nuove generazioni non possono provare, poiché la loro Luna è diversa dalla nostra. Ci fu un tempo durato per gli uomini milioni di anni in cui guardavamo una Vergine magari cattiva, magari gentile, sopra le nostre vite, a rischiarare le rose. La Luna di Ariosto e Astolfo, di Camus e di Caligola. Qualcosa dove la poesia e la letteratura trascuravano la chimica e la fisica per rimanere incantate da quel lampione siderale e simbolico. Dopo di allora lo sguardo è diverso. Inevitabile. Ma chi c' era e chi non c' era può ritrovare un idem sentire. Ed è un' altra delle eccellenti ragioni, la principale per me, che fa meritare a questo volume di esser letto: Oriana Fallaci! Infatti oltre a Tito Stagno (che rivedremo lucido e signorile su Rai 1, il prossimo 19 luglio, naturalmente con Vespa), allo scomparso Ruggero Orlando, il nerbo della narrazione è costituito dalla prosa di Oriana. A Cape Canaveral lei c' era, unica tra i duemila giornalisti a essere in realtà sull' Apollo 11, che si alzava titubante per poi accelerare. Houston era casa sua. Frequentava le famiglie. Si innamorò di astronauti e baciò le loro mogli, si immedesimava e soprattutto trasferì e trasferisce ancora nel lettore, con un ritmo delle parole somigliante a quello del cuore e con la vista dell' aquila, quel mondo lunare di umanità e di scienza. Lontano e mai così vicino. Poi la Fallaci da aquila si trasformò in uno scricciolo, ma volò fino all' ultimo sulle cime, oltre la Luna. Vola ancora. di Vittorio Feltri

Dai blog