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Roberto Saviano e la cocaina, una sconvolgente teoria: "La nostra è una vita di m***, e così...". Droga libera

Giulio Bucchi
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Alla Mostra del Cinema di Venezia arriva l' onda d' urto del crimine organizzato, che sommerge e avvolge come i tentacoli di un polipo l' intero pianeta. Un' immagine di infernale potere globale che si percepisce alla proiezione di ZeroZeroZero, tratto dal romanzo omonimo di Roberto Saviano, due puntate in anteprima mondiale della serie coprodotta da Cattleya per Sky Studios, CANAL+ e Amazon, che vedremo su Sky nel 2020. La mafia è diventata un prodotto gigantesco, mantenendo però le stesse regole ferree dei tempi di Don Vito Corleone. Concetti basilari che viaggiano su binari paralleli: quello delle origini, che tira le fila dell' organizzazione, dove niente si muove se il capo dei capi non è informato, e il tessuto imprenditoriale, che dalla Colombia al Messico, passando per gli Usa, rifornisce di merce il globo. cunicolo segreto Il boss Don Minu (Andrea Chiaramida) che vive in una zona della Calabria, con un cunicolo segreto per fuggire, recita il decalogo del mafioso, dove il concetto di base è quello di non fidarsi mai di nessuno, neppure di se stessi. Neppure della moglie e dei propri figli, neppure del proprio cuore che altrimenti si fermerà. Saviano alimenta il concetto, sottoscrive addirittura una religione mafiosa, perché dice che «la nostra è una vita di m... non si trovano risposte e quindi le persone più normali, dall' operaio al chirurgo, cercano nella cocaina una risposta al vuoto». Aggiunge che la droga è l' unico prodotto in grado di fare concorrenza al petrolio. E che l' unico modo (sua convinzione) per fermare questo sanguinoso mercato è liberalizzarla. Mentre il boss, sempre secondo Saviano, è invece l' ultimo dei calvinisti che non ha bisogno di nulla: vive in un buco pur essendo miliardario, non gli interessa l' apparire, il godere dei beni, l' importante è trasmetterli nel tempo alla famiglia. Lui sa che il potere si paga con l' odio e il sangue. È pronto a soffrire, e nessuno, se non Dio, lo può giudicare. «Per questo l' immagine simbolo della serie è una pistola avvolta nel rosario», aggiunge Stefano Sollima. Dal nido roccioso della Calabria la scena si sposta sul set globale, e colpisce la panoramica potente che ti porta alle origini della cocaina attraverso i continenti, immane lo sforzo produttivo. Le riprese hanno coinvolto tre continenti (Europa, Asia e America), anche con notevoli problemi di realizzazione. Dalla Colombia al Messico, dove scopriremo che pure la task force dell' esercito impegnata nella lotta alla droga ha falle profonde di corruzione, c' è una talpa dal cuore nero che arriva al punto di mandare a morte tre commilitoni innocenti per sviare i sospetti. E negli Usa, a New Orleans, troviamo il potentissimo intermediario che traccia la rotta delle navi destinate al trasporto nel mondo. Il quale adora la figlia maggiore, considerata la delfina dell' organizzazione. tre continenti Il figlio più piccolo (Dan DeHaan) vive schiacciato dalla tristezza, perché affetto dalla malattia di Huntington, una grave degenerazione del sistema nervoso centrale ereditata dalla mamma. Ma il destino spariglia le carte, dopo la morte del padre la sorella decide che il "fratellino" deve affrontare il suo ruolo dopo la morte del padre, ucciso nel corso di un agguato. E lo convince a partire sulla nave imbottita di un carico di droga. A questo punto la fiction mette il turbo, va oltre il romanzo di Saviano, con l' apporto degli sceneggiatori diventa anche grande spettacolo. di Bruna Magi

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