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Lucia Azzolina e la tesi: tutti gli orrori della ministra all'Istruzione tra grammatica e punteggiatura a caso

Gabriele Galluccio
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«Signorina, veniamo noi con questa mia addirvi una parola che, scusate se sono poche, ma settecentomila lire punto e virgola noi ci fanno specie che questanno c'è stato una grande moria delle vacche, come voi ben sapete! Punto! Due punti! Ma sì, fai vedere che abbondiamo. Abbondandis in abbondandum». Siamo d' accordo, stiamo parlando di un modello inarrivabile, ossia la lettera scritta da Totò e Peppino. Ma c'è chi gli ci si avvicina molto, una signorina di nome Lucia Azzolina, membro dei 5 Stelle, che di mestiere fa il ministro dell'Istruzione. Per approfondire leggi anche: "Deve dimettersi", parla il docente Sì, è la stessa che ha copiato ampi passaggi della sua tesi di abilitazione all'insegnamento, nonché alcuni brani delle sue due tesi di laurea. Tuttavia, leggendo come scrive quando non copia, non sai se sia peggio il plagio o lo scempio; cioè, se sia più riprovevole riprendere scritti altrui senza citarli o viceversa usare farina del proprio sacco, abbondando in orrori grammaticali, mostruosità sintattiche, apostrofi, accenti e virgole distribuiti ad capocchiam e parole fuori luogo o senza senso. Grazie al lavoro di ricerca del linguista Massimo Arcangeli, che aveva già scoperchiato l'affaire-copiatura del ministro, siamo entrati in possesso della documentazione con tutti gli strafalcioni presenti nelle due tesi della Azzolina, allora studentessa all'Università di Catania: quella per la laurea di primo livello in Filosofia dal titolo Rousseau politico: dai due Discorsi al Contratto sociale dell' anno 2003-04, e quella per la laurea magistrale in Storia della filosofia del 2007-08 intitolata Rousseau e Voltaire: il terremoto di Lisbona. C'è materiale a sufficienza per comporre un Ipse dixit con tutte le sue perle più preziose, che funga da manuale per gli studenti, fornendo loro un modello di come non scrivere in italiano. «LA SVIRGOLATA» La prassi più ricorrente del ministro, allora studentessa, si potrebbe definire "la svirgolata", ossia l'utilizzo sballato delle virgole, messe in luoghi impropri, spesso sparse a pioggia, forse in nome del motto di Totò «fai vedere che abbondiamo». Ecco alcuni esempi che testimoniano la sua abitudine di far seguire «che», «ma» ed espressioni come «se pertanto» direttamente da una virgola: «È importante ricordare che, gli uomini selvaggi di cui parla Rousseau, non sono quelli che gli europei trovarono in America», «Se pertanto, aveva queste garanzie non necessitava dell' aiuto di nessuno», «Ma, le speranze di Voltaire verranno decisamente smentite». Si badi bene, non si tratta di refusi perché sono errori sistematici che si ripresentano puntualmente. Un'altra pratica frequente nella scrittura di Azzolina è la mancata concordanza di persona tra sostantivo e verbo: se il primo è singolare, il secondo, chissà perché, diventa plurale. Date un'occhiata qui: «La violenza delle sue opinioni religiose e politiche preoccuparono sempre più i suoi protettori ed amici», «Lo scambio di opinioni tra Rousseau e Voltaire rappresentano l'esempio», «La saggezza delle leggi e dell'autrice della legge sono rilevabili dalla permanenza delle leggi». Regola imprescindibile suggerita dal Nuovo Dizionario Aggiornato Azzolina è anche lo scrivere il «sì» avverbio e il «dà» verbo senza accento. Vedere per credere: «Vivere in tal modo, cioè con continue paure, non da neanche la possibilità di sviluppare seriamente un lavoro», «Egli grida il nome di Dio per far si che la scossa sia più forte». Viceversa, espressioni come «qual è» e «qual era» vogliono tassativamente l'apostrofo: «Di conseguenza qual'è la motivazione per la quale gli uomini si associano?», si chiede l'allora laureanda. E ancora: «Da egocentrico qual'era, Rousseau pensava che». Azzolina, un apostrofo rosa tra le parole «qual'è». Sempre nella logica di abbondare, l'attuale ministro, da studentessa, metteva sempre un «ne» di troppo: «Il progetto roussoiano doveva essere quello di scrivere () un'opera, della quale il Manoscritto di Ginevra ne costituiva solo un capitolo»; o «Bisognava ricostruire la storia dell'uomo per capirne i suoi cambiamenti». La parte più divertente riguarda le parole inventate di sana pianta, neologismi azzoliniani quali «sottoforma» e «riassuntato», o espressioni dall'effetto comico come «Aveva perso gli amici, pensava che fra questi si ardisse una congiura contro di lui». Ma dove forse la Azzolina dà il meglio di sé è nell'uso dei modi verbali, in cui affiora la malattia comune a molti suoi colleghi di partito, la "congiuntivite". In alcuni casi il congiuntivo scompare a favore dell'indicativo: «Voltaire riteneva che Rousseau non seppe sfruttare il talento del suo intelletto» (con tanti saluti a «sapesse»); in altri, a vantaggio del condizionale: «Rousseau sostenne che certe morti premature potessero essere benefiche laddove avrebbero colpito senza che gli uomini se ne fossero accorti». Altrettanto agghiacciante è il ricorso a verbi intransitivi, quali «esulare», che nell'italiano creativo di Azzolina diventano miracolosamente transitivi: «L'uomo si arroga il diritto di conoscere una delle risposte che esulano di molto le sue limitate capacità». Due chicche ulteriori rendono bene l'idea della padronanza lessicale e sintattica della titolare dell'Istruzione. La prima fa riferimento «ad una sovrappopolazione che manca di risorse per nutrirsi»; la seconda è una summa dell'orrore: «Rousseau difende una morte naturale e repentina dovuta ad una natura buona che in questo modo preserva l'uomo da inopportune sofferenze e, accusa di mali più crudeli gli uomini che, nel momento in cui, si approfittano del più debole compiono orrori infinitamente peggiori rispetto a quelli di cui la natura verrebbe accusata da Voltaire». Viene voglia di gridare basta. TESTI IMBARAZZANTI Infatti la finiamo qui, non prima però di aver sentito il parere del prof. Arcangeli. «Sono testi imbarazzanti», ci dice. «Raramente mi capita di vedere fenomeni a questi livelli nelle tesi dei miei studenti. Quello che mi ha sconcertato di più è l'uso terrificante dei segni di interpunzione, privi di qualsiasi ratio alla base. Certo, in questo caso bisogna anche considerare le responsabilità dei prof che, almeno per la magistrale, avrebbero dovuto controllare i testi e invece, con leggerezza, hanno consentito ad Azzolina di laurearsi con lavori scritti in quel modo». Ma il discorso si potrebbe estendere anche ad altri ex ministri dell'Istruzione, si pensi solo agli svarioni di Valeria Fedeli. «Ricorrendo a una boutade», continua Arcangeli, «lancerei l'idea di sottoporre i candidati alla poltrona di quel ministero a un test preventivo di lingua italiana. Personalmente però trovo ancora più grave che la Azzolina abbia ripreso interi passaggi della sua tesi di abilitazione all'insegnamento da testi specialistici senza citarli in bibliografia. Mi chiedo: se dovesse parlare agli studenti di una scuola superiore, con che faccia potrebbe spiegare loro come attingere correttamente alle fonti?». Nondimeno l'altro giorno il ministro ha detto fieramente di sé: «Nella mia vita ho sempre studiato e ha funzionato bene». A leggere le sue tesi, non si direbbe. Che, ne pensasse, di questo, Lucia, Azzolina? di Gianluca Veneziani

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