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Silvio Garattini a Senaldi: "Sul coronavirus vedo dati confortanti. Ecco gli errori da non fare per la ripartenza"

Pietro Senaldi
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Professor Garattini, muoiono centinaia di persone ogni giorno ma le autorità sono moderatamente ottimiste perché i contagi rallentano: dobbiamo soffrire ancora o possiamo sperare? 
«Chi muore adesso per la maggior parte si è ammalato prima delle chiusure forzate. Questi decessi non sono rappresentativi della situazione attuale. Quanto ai contagiati, essi aumentano con il numero dei tamponi eseguiti, ma non ci sono impennate, la crescita è stabile, il che solitamente avviene appena prima che inizi la discesa. È confortante peraltro che ci sia una tendenza alla diminuzione dei ricoveri ospedalieri». Tutti chiedono una data per la fine dell' emergenza: qual è la sua opinione? 
«Bisogna avere un mese di dati confortanti prima di dire di intravedere la luce in fondo al tunnel. Ma bisogna fare attenzione a riaprire troppo presto, quando la gente non è ancora guarita».
I primi di maggio è l' ipotesi più ottimista? 
«Sarebbe bello anche aprile, ma è presto per dirlo».
Il dottor Estate guarirà il virus? 
«Questo lo sapremo in estate. Ma il Covid-19 sarà davvero sconfitto quando si troverà il vaccino o dei farmaci efficaci».

Silvio Garattini ha 91 anni ma è ancora in prima linea nella lotta quotidiana di ogni medico per la vita. Fondatore dell' Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, fino alla settimana scorsa andava regolarmente in istituto. «Poi ho smesso perché il mio lavoro si può fare anche da casa». Poco tempo fa ebbe a dire che il 50% delle medicine che prendiamo è totalmente inutile. È l' uomo giusto per sapere a che punto è la corsa per il vaccino e quali farmaci possono limitare l' aggressività del virus. «Ci sono venti centri che se ne stanno occupando e, se tutto va bene, spero che entro fine anno il vaccino possa essere disponibile, anche se magari non su grande scala, come servirebbe».

Nel frattempo come si cura il Covid-19, professore? 
«Per l' 80% dei casi esso è asintomatico o basta una semplice tachipirina per controllare la febbre. Poi ci sono le situazioni drammatiche, quando manca il respiro. E allora servono le bombole o, nei casi più disperati, l' intubazione. Se non basta il paziente riceve un' ossigenazione in varie modalità, anche senza passare attraverso i polmoni».
L' ossigeno è l' unica cura allora, in attesa che il corpo si riprenda o si arrenda? 
«La reazione del paziente all' ossigenazione è individuale, e dipende naturalmente molto dalle condizioni di salute generali precedenti l' infezione. Se essa non basta, si può ricorrere in via estrema a tre farmaci che si stanno sperimentando. Sono promettenti ma non bisogna dimenticare che mostrano anche forme di tossicità, per cui non possono essere somministrati a tutti, né prescritti da tutti».
Quali sono questi farmaci miracolosi? 
«La clorochina, un antimalarico che hanno utilizzato in Cina, e ora anche in Francia e in Italia, si sta rivelando promettente, ma non può essere somministrato a soggetti cardiopatici. L' Agenzia Italiana del Farmaco poi ha iniziato una sperimentazione sul Remdesivir, farmaco anti-ebola per cui non esistono ancora dati scientificamente accettabili. Infine c' è il Tocilizumab, un antinfiammatorio per l' artrite che toglie l' infiammazione, che è un elemento importante nella gravità della polmonite. Però anch' esso è pericoloso se lo si dà a pazienti già debilitati in precedenza».
Chi ha fatto il vaccino influenzale è più protetto rispetto al Corona? 
«Il vaccino anti-influenzale è certamente utile per una buona percentuale di soggetti che sviluppano influenza. Qualcuno pensa che possa servire a mitigare la potenza del Covid-19. Tutti attendono il vaccino e speriamo che questo attenui la posizione dei no-vax. In questo Paese crediamo troppo agli stregoni e troppo poco nella ricerca».
Inizialmente si pensava che il virus uccidesse solo gli anziani. Poi quelli che avevano problemi di diabete o di cuore o i malati di tumore. Ora vediamo che muoiono quarantenni, ma in Francia anche una sedicenne
«I dati più recenti indicano che esiste una proporzionalità rispetto all' età. Sono molti pochi i casi di letalità nei soggetti più giovani e poi, piano piano, aumentano esponenzialmente in rapporto con l' età, soprattutto tra chi ha più di 65 anni e presenta una o più malattie gravi. Molto spesso nei decessi degli anziani è difficile stabile se il virus è stato la causa o solo una concausa».
E quanto ai giovani? 
«Le cause delle morti giovani andrebbero analizzate caso per caso. In realtà si scoprirebbe che c' è sempre una ragione specifica alla base. Se, ad esempio, avviene un infarto in un giovane soggetto al virus, non è detto che esso non sarebbe avvenuto comunque».
Quanto è letale il Covid-19? 
«Per capirlo bisogna analizzare l' azione del virus in una popolazione ben definita. Sulla Diamond Princess, la nave da crociera dove si sviluppò l' epidemia, la letalità è stata calcolata intorno all' 1%. E così anche nel comune bergamasco di Nembro, il sindaco, che è un fisico, stima che la letalità sia la medesima percentuale. Anche, l' Ispi, in una sua relazione è arrivato alla stessa conclusione».
A proposito, perché la Lombardia è la regione più colpita? 
«Innanzitutto perché essa rappresenta un sesto della popolazione italiana ed è quella con maggiori attività e relazioni internazionali, inclusa la Cina. Poi perché non sono stati identificati rapidamente i cosiddetti focolai, come quello di Codogno. A differenza della cittadina lodigiana, l' area dei comuni di Alzano Lombardo e Nembro non è stata chiusa e, data la sua vicinanza con Bergamo, ha determinato un contagio diffuso. Molti hanno sottolineato la possibilità che uno scambio di contagi sia avvenuto il 19 febbraio in occasione della partita a San Siro tra Atalanta e Valencia».
La sanità lombarda è finita sotto accusa: lei cosa ne pensa? 
«Credo che se non ci fosse stato il servizio sanitario pubblico lombardo la carneficina avrebbe avuto ben altre dimensioni. Nessun ospedale al mondo sarebbe stato in grado di fare quello che è stato fatto qui, con un volume di lavoro così elevato».
Piena assoluzione, dunque? 
«L' impegno eccezionale di tutto il personale sanitario non impedisce di rilevare che è mancato il rapporto tra medici di medicina generale e ospedali. Quello lombardo è un modello troppo ospedale-centrico. Ha prodotto tante eccellenze, ma l' ospedale non può fare tutto, deve avere un contatto con i medici del territorio, che devono fare da filtro ai ricoveri ospedalieri. Penso anche che si sarebbe dovuto fare come in Cina, radunare in strutture i malati di Covid-19 che non necessitavano di ospedalizzazione, in modo da limitare il dilagare del virus».
Il governo ha commesso degli errori? 
«Come tutti, ha sottovalutato. Il 5 gennaio il governo ha dichiarato lo stato d' emergenza, ma poi non è stato fatto nulla per un mese e mezzo. È mancata una cabina di regia che gestisse l' emergenza in arrivo.
Protezione Civile e governo dovevano dare disposizioni alle Regioni, procurare mascherine, elaborare un codice di comportamento, istruire i medici, procacciarsi respiratori, creare strutture intermedie dove alloggiare i positivi che non necessitano di ricovero, così da non affollare gli ospedali ma evitare che le persone si contagiassero in famiglia».
Mi spiega perché è così difficile reperire mascherine? Non viviamo in un Paese sottosviluppato. 
«Ne servono 90 milioni al mese; e di quelle buone, non come tante che si vedono in giro. Noi non siamo autonomi, dobbiamo ricorrere ad altri Paesi, che ne hanno a loro volta bisogno e ci mettono in coda.
Un tempo le producevamo poi c' è stata la pratica dell' appalto al massimo ribasso e i nostri imprenditori hanno smesso. Si parla tanto, a sproposito, di guerra, ma nessuno ha pensato ai rifornimenti sanitari in caso di pandemia, perciò ora siamo senza munizioni».
È mancata anche la guida dei medici, ognuno diceva la sua? 
«Questo capita quando non c' è un coordinamento centrale. A livello politico è successo con le Regioni, ciascuna ha fatto le proprie scelte. Il caos però non è colpa solo di questo governo».
E di chi altri è colpa? 
«Dei governi degli ultimi dieci anni che hanno tagliato fondi alla ricerca. Se si sopprimono i letti e i medici competenti, quando arriva l' emergenza si hanno meno risorse per affrontarla. Abbiamo un numero di ricercatori troppo basso, quindi è impossibile fare massa critica per affrontare i problemi. Nella miseria attuale, ognuno cerca di sopravvivere guadagnandosi la propria visibilità».
Ma la voce autorevole non dovrebbe essere quella dell' Istituto Superiore di Sanità? 
«È un istituto eccellente, ma anche i suoi ricercatori hanno fatto parte delle carenze di sostegno alla ricerca scientifica».
Capisco, ma non è che da noi si muore di più rispetto alla Germania semplicemente perché abbiamo meno respiratori? 
«Questa situazione è figlia degli errori storici commessi dalla politica. Accanto al taglio selvaggio dei fondi per la ricerca c' è la spesa bassa per la sanità, inferiore di due punti percentuali di Pil rispetto alla media Ue. Naturale che poi ci siano meno macchinari».
E qui c' è chi punta il dito contro la sanità privata
«In Lombardia essa è molto importante, ma è sempre il sistema pubblico che, pagando, dovrebbe decidere ciò che gli ospedali privati devono fare. Le strutture private potevano essere obbligate a tenere più posti di terapia intensiva, che sono costosi e poco remunerativi».
Professore, siamo in guerra, come va di moda dire? 
«Io sono del '28, la guerra la conosco. Se oggi si parla di guerra è perché sono rimasti in pochi quelli che hanno visto quella vera. La si evoca per rimandare l' immagine di qualcosa di terribile, ma in guerra non ti chiedevano di stare a casa, ti bombardavano casa e ti mandavano al fronte, il cibo era razionato, non c' era carne e il pane era pieno di paglia. Questa è una tragedia, che avrà conseguenze economiche pesanti, ma non è paragonabile a un conflitto bellico».
Quando potremo ripartire? 
«Sarà un problema complicato. Dovrà essere graduale e le scelte vanno ponderate attentamente. Si possono fare test del sangue per scoprire chi ha gli anti-corpi. Dovremo già pensare adesso, che si spera in una soluzione sanitaria, a individuare i soggetti che possono tornare al lavoro e darci delle regole per riprendere l' attività. Ci vorrà tempo ma bisogna iniziare a pensarci, per non trovarci ancora una volta senza progetto».
Che disastro. È ottimista? 
«Se non lo fossi non sarei al lavoro alla mia età». 

di Pietro Senaldi

 

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