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Roberto Gervaso, addio all'ultimo dei giornalisti di classe

Roberto Gervaso

Da Montanelli alle biografie, passando per i suoi "lapilli d'intelligenza": storia di un intellettuale gentile

Francesco Specchia
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“L’uomo è un condannato a morte che ha la fortuna di non conoscere la data della propria esecuzione”. La prima volta che Roberto Gervaso espresse pubblicamente uno dei suoi fulminanti aforismi che ne dipingevano il rapporto borghesemente rispettoso - quasi d’affetto- con la morte fu a metà degli anni 90 nel programma Peste e corna su Retequattro.

Gervaso, allora, per noi giovani cronisti allattati ai suoi libri di divulgazione storica firmati con Montanelli (soprattutto L’Italia dei Comuni. Il Medio Evo dal 1000 al 1250 che gli valse il primo premio Bancarella, il secondo fu per la biografia di Cagliostro), era al suo massimo splendore. Lo chiamavano “Il grillo parlante”, per via della sua nota rubrica. Ostentava papillon e pensieri d’un eleganza invincibile, sguardo perculante, un’incredibile capacità di dissezionare le notizie e gli ospiti in interviste a colpi di stiletto; e, soprattutto, si distingueva per una velocità nel produrre aforismi –“lapilli d’intelligenza”, li chiamava- che lo rendevano la versione aggiornata e un po’ dandy di Leo Longanesi. Ora Gervaso ha lasciato questa valle di lacrime per una malattia che leggendo anche i suoi ultimi esilaranti pezzi su Libero, specie quelli sulla vecchiaia, ci eravamo completamente dimenticati lo tallonasse. E, be’, con lui è scomparso definitivamente un mondo fatto di galantuomini, di giornalisti perduti dietro a un disperato senso dell’onore e di intellettuali sottotraccia, recrudescenza d’un montanellismo perduto. Già, tutto parte da Indro Montanelli. Perché fu a 23 anni, prima ancora della laurea in Lettere, che Gervaso entrò nelle grazie del Maestro. Il quale prima lo fece assumere come cronista di nera al Corriere della sera; e dopo, complice una comunanza intellettuale e la depressione, il “cane nero” che ghermiva entrambi a fasi alterne (“A 23, 43 e 71 anni”), ne fece il suo coautore dei primi sei volumi della Storia d'Italia edita da Rizzoli, acquisendo grande notorietà tra il 1965 e il ’70. Gervaso era talmente condizionato dalla presenza del mentore da insufflare nei maligni che ne osservavano la somiglianza fisica, il sospetto che di Montanelli egli fosse il figlio illegittimo (e su questa leggenda metropolitana Gervaso celiava spesso).

In realtà Roberto, romano di famiglia torinese, classe 37, era un fuoriclasse assoluto in grado di attraversare i generi: il giornalismo, la letteratura, la radio e la tv con una levità innaturale. Tra i suoi libri, quasi tutti best sellers, si ricordano altre sei biografie storiche da Nerone a Casanova, dai Borgia a Claretta Petacci, tutti usciti tra gli anni '70 e '80. E anche La monaca di Monza. Venere in convento (1984, mi pare con una foto della moglie Vittoria ex indossatrice, in tonaca, in copertina); La bella Rosina. Amore e ragion di Stato in Casa Savoia (1991); e un giallo storico, Scandalo a corte. La collana della regina (1987) e due raccolte di grandi storie d'amore Appassionate. Storie d'amore e di potere (2000) e Amanti. Storie di cuori e di potere (2002). Nella saggistica i suoi titoli migliori, per me, sono la triade Il dito nell’occhio. Interviste coi contemporanei (1977), La pulce nell’orecchio. (1979), La mosca al naso(1980). I suoi libri sono tradotti in 14 paesi diversi dagli Stati Uniti al Giappone. E per non perdermi non entro nel dettaglio delle sue bibliografie storiche come la Storia delle crociate I fratelli maledetti. Storia della massoneria (1996), libro che Gervaso evocava sempre da quando si trovò iscritto nella loggia P2: “Mi ero iscritto perché mi piaceva la massoneria e volevo scriverci un libro, come poi ho fatto. In realtà la P2 era un’entità affaristica contrapposta a quella di Ciccia e Agnelli, che aveva vinto”. Da quello scandalo Roberto uscì vergine e intonso. L’uomo, nonostante la sua aria da conservatore stanziale, aveva viaggiato molto per il mondo. E questo gli aveva permesso di conoscere molti protagonisti del XX° secolo: George Simenon, Salvator Dalì, Andres Segovia, Arthur Miller, Lauren Bacall, Michail Gorbaciov, David Rockfeller. Conoscenze che, nel solco degli Incontri del solito Montanelli, Gervaso raccolse nel divertente Ve li racconto io. A tu per tu con i protagonisti del Novecento (2006). Gervaso era dotato di spiazzante eclettismo. Era stato Presidente onorario dell’Esda (European sexual dysfunction alliance) per provocazione e vegetariano per impuntatura storica (“Mazzini era vegetariano certo, sempre pallido, però suonava la chitarra, Garibaldi non credo proprio. Sono frugale come Montanelli che, magari pochi bocconi, apprezzava pure la fiorentina”); e prezioso rubrichista in video agli esordi della tv berlusconiana e pregiato rubrichista di scrittura per riviste e quotidiani dal Giornale al Messaggero. Ma erano gli aforismi il suo marchio di fabbrica. Lampi tipo “l’amore è eterno finché dura”, “l’opinione pubblica non ha quasi mai opinioni”, “l’italiano non si organizza si arrangia”, “il buonsenso è spesso la virtù di chi non ne ha altre” sono solo alcune delle perle che tutti noi gli abbiamo rubato. Scrive la figlia Veronica giornalista Mediaset in un commuovente tweet d’addio al padre “Sono sicura racconterai i tuoi splendidi aforismi anche lassù…”. Ne siamo convinti.

 

 

 

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