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Bruno Vespa contro Giuseppe Conte: "Non è Mosè, servono programmi credibili. Basta fuggire dalle responsabilità"

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L'Italia è vicina a schiantarsi. I contagi da coronavirus crescono giorno dopo giorno, "nessun paragone con marzo è serio - mette le mani avanti Bruno Vespa -, ma la prudenza lascia prevedere a breve possibili scenari di crisi". Lo stesso capo dello Stato, Sergio Mattarella, si è prodigato in un appello si cittadini affinché investano il risparmio. Il problema però per il conduttore di Porta a Porta è proprio questo: "La gente è spaventata, non spende e non investe per paura di ciò che non conosce. Sono questi i casi - rari e drammatici - in cui si misura la consistenza di un Paese".

 

 

Nel suo editoriale sul Giorno di sabato 31 ottobre, Vespa paragona l'attuale situazione alla Seconda Guerra Mondiale, con una sola differenza: all'epoca "quegli uomini di buona volontà dei partiti democratici che si riunirono nel Comitato di liberazione nazionale guardavano oltre. Sapevano che la guerra sarebbe finita". Ora invece la fiducia nei confronti del governo è ai minimi storici, perché è normale "che nel cervello di quel terzo di italiani non garantiti da un reddito fisso frulli la domanda ossessiva: se chiudono, io che farò?". Da qui la conclusione del conduttore: "Sarà in quel momento che i nostri politici dovranno guardare". Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti - ricorda - si detestavano e i loro uomini si azzuffavano nel Parlamento e nelle piazze, "ma avevano un comune desiderio di rinascita". Oggi giorno, dunque, questo compito ricade su Giuseppe Conte che "non è Mosè. Ma sta a lui indicare al più presto con programmi credibili, concreti, solleciti e condivisi anche con l'opposizione, la via unitaria della salvezza".

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