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Andrea Orlando "non ha mai lavorato ma è fedele alla Ditta": ecco cosa c'è dietro la sua scalata

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Alberto Luppichini
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C'era una volta un bambino di 13 anni che, nel giorno del suo compleanno, non reclamava né regali né attenzioni, ma soltanto un tesserino: quello della Fgci. Quello stesso bambino, allo scoccare della maggiore età, non chiedeva ai genitori di festeggiare con gli amici né di uscire con una ragazza. Il desiderio più grande era di meritarsi un'altra tessera, quella del Pci. Il bimbo cresciuto a pane e apparato è Andrea Orlando, spezzino, classe '69, fresco di nomina al ministero del Lavoro con il governo Draghi. Orlando, da subito, capisce il suo amore smisurato per la Ditta Rossa, di cui ha attraversato tutte le sigle: Pci, Pds, Ds, per approdare infine al Pd. L'uomo incarna a pieno il grigiore e la fuffa dei compagni, fin dall'aspetto, tranquillizzante e intriso di flemma pensosa, con pochi guizzi.

 

 

Il linguaggio oscuro e vagamente paternalista rispecchia in pieno un aspetto precocemente invecchiato, appesantito da abiti grigi, arricchito da una collezione sterminata di cravatte rosse e da scarpe scure da impiegato delle pompe funebri. Il punto è proprio questo: il burocrate di apparato, spento e genuflesso all'ideologia, senza niente di interessante da dire, se non la solita accozzaglia di concetti vacui e litanie vetuste care ai compagni, ha fatto carriera ed è arrivato ai vertici del Paese. L'Orlando pensoso, con ritmi vertiginosi, è arrivato sulla vetta dell'Olimpo politico senza che nessuno ne se ne accorgesse, puntando sulla mediocrità per arrivare in alto. E la mediocrità l'ha premiato, persino oltre le sue più rosee aspettative. La rassegna dei fallimenti è copiosa, fin dal momento in cui assume le redini, Letta regnante, del Ministero dell'Ambiente. Il tema scottante è quello della Terra dei fuochi, dove bruciano roghi tossici con l'avallo dei clan. Il nostro, una volta approvato il decreto, esulta raggiante: «Il provvedimento contempla risorse per la bonifica, lo screening sanitario, la mappatura dei suoli, la repressione delle opere di devastazione.

 

 

È un punto di partenza verso un percorso di riscossa». Peccato che, a conti fatti, l'Orlando festoso non abbia risolto niente. Anzi. La situazione è peggiorata, come attesta uno studio del 2016 condotto dall'Iss che analizza la situazione ambientale in 38 Comuni, fra Napoli e Caserta. La resurrezione, per il nostro, è sempre a portata di mano. Così il Lazzaro della Ditta viene nominato, sotto il governo Renzi, ministro della Giustizia. Per uno che ha scelto giurisprudenza, senza una laurea né un impiego nel settore legale alle spalle, anzi, senza mai aver lavorato in vita sua, l'opportunità offerta dal Bottegone Rosso è un regalo sconsiderato, sulla pelle degli italiani. Dall'ufficio di via Arenula, Orlando va oltre le aspettative, sfruttando la sua aurea mediocrità per una riforma delle carceri destinata a migliorare la condizione dei detenuti. Il provvedimento, apprezzabile, ha l'intento di rafforzare le misure alternative al carcere, valorizzando il percorso di riabilitazione al fine di restituire la dignità perduta ai povericristi dietro le sbarre. Nonostante le buone intenzioni, la riforma non passerà per l'opposizione di Lega e M5S, soprattutto per la grottesca incompetenza del ministro Bonafede. Altro giro, altro ministero: Gentiloni lo conferma, da buon comunista solidale, al ministero di Via Arenula. Gli anni passano, il governo Gentiloni si esaurisce ma Orlando non finisce mai la sua ascesa. Così nel 2019 la Ditta gli conferisce l'ennesimo incarico per mediocrità acquisita: la vice-segreteria del Pd. Da sempre, è fallimentare anche nelle previsioni. Sul movimento delle Sardine ha dichiarato: «Bisogna ringraziarle, sono giovani. E dare loro una rappresentanza». Le Sardine sono scomparse, i comunisti pure, ma Orlando resiste come l'ultimo dei mohicani. Draghi lo ha nominato ministro del Lavoro, lui che non ha mai sgobbato in tutta la sua vita. Lunga vita ai burocrati senza nerbo. 

 

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