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Il lato destro di Lawrence d'Arabia: nel Pantheon della destra che verrà?

Lawrence d'Arabia

Conservatore ad ampio raggio, patriota per varie patrie, bisessuale forse propenso alla legge Zan: perché il colonnello potrebbe entrare nel Pantheon delle destra che verrà

Francesco Specchia
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“Certe caratteristiche morali si disegnano a volte più nettamente dell’apertura del sorriso e dell’inflessione della voce. Tutti concordano nel sottolineare in lui il culto della libertà, l’orrore per l’ingiustizia, il coraggio, la resistenza fisica, l’integrità morale; il genio critico e analitico e descrittivo in quanto scrittore; la rapidità decisionale e la lucidità nel combattimento come capo; il riserbo, l’ascetismo dei costumi, gli scrupoli di coscienza come persona” .

Bisognerebbe leggere il suddetto medaglione di Thomas Edward Lawrence tratto dal capolavoro di Victoria Ocampo 338171 T.E. (Lawrence d’Arabia) Edizioni Settecolori pp 122 euro 17 -titolo che deriva dal suo numero di matricola e da quella sigla che “era la sola parte del suo nome che gli appartenesse veramente e così dovevano chiamarlo quelli che lo amavano”- nella condizione del riposo del guerriero. Ossia, immaginandosi sdraiati nel cottage del colonello a Clouds Hill nel Dorset, ad osservare i rododendri, con un bicchiere di brandy in mano e La caduta degli dei di Wagner diretta da Stokowski in sottofondo. Quando la più grande scrittrice argentina creatrice della rivista Sur e della omonima casa editrice, nonché sodale di Camus, Drieu e Virginia Woolf, ne scrisse la biografia nel 1942, Lawrence era già morto da sette anni dopo uno schianto in motocicletta. Aveva già vissuto tre vite: ufficiale del servizio segreto inglese e condottiero arabo; poi semplice aviere della Royal Air Force sotto il nome di John Ross; infine carrista irregolare scoperto e cacciato dall’esercito per essere riarruolato in aviazione sotto le mentite spoglie di T.E. Shaw. Lawrence ad appena 38 anni aveva già vissuto tre vite ed era riuscito, straordinariamente, a sprecarle tutte. Non era mai stato in grado di convivere del tutto con la propria leggenda. Eppure, Ocampo, ossessionata dalmito (“Sono immersa in Lawrence. Lo amo. Respiro…Il mio sangue circola bene quando lo leggo. Lo ammiro e sono felice che sia esistito”) vi si è addentrata con lo spirito della “detective dell’Io” come si legge nella prefazione di Fabrizio Bagatto. Ocampo parte dall’assunto del Colonnello che inquadra la sua opera principale, I sette pilastri della saggezza:“Tutti gli uomini sognano ma non allo stesso modo. Coloro che sognano di notte e nei recessi polverosi delle mente si risvegliano di giorno per scoprire che l’oggetto del sogno era del tutto irreale; ma quelli che sognano di giorno sono uomini pericolosi, perché possono metter in pratica i loro sogni con gli occhi aperti, per renderli possibili. Questo ho fatto io…”. E, da lì, la scrittrice ne descrive le volute del destino: l’infanzia nel Galles da nobile di campagna, la dedizione agli studi; il multiculturalismo tra i beduini dell’Higiaz; l’amore per l’arte e la passione per il deserto (“Mi piace perché è pulito”); la conquista di Damasco alla testa di tremila arabi; il fallimento del suo progetto politico di unificazione dei popoli che si scontra con gli appetiti dei governi inglese e francese.

E, infine, il desiderio di cupio dissolvi, l’irrequietezza dell’oblio, la voglia di sciogliersi nella gloria passata e di non lasciare tracce di sé. Secondo la Ocampo Lawrence, tanto minuto nell’aspetto e poderoso nello spirito, era attraversato da “una sete di assoluto che si placa solo nel fallimento in cui inevitabilmente si dissolve ogni trionfo”. Il nostro uomo aveva sfidato -e vinto- le orde sanguinarie degli Ottamani, le tempeste di sabbia e tutti i demoni del deserto (come ricorda Andrè Malraux, uno dei suoi principali ammiratori); ma declinò la sua esistenza in una sorta di ansia di espiazione. E questo nonostante -afferma sempre Ocampo- “Lawrence conoscesse questo lavoro oscuro dei sogni che ci familiarizzano con un’azione, che preparano il terreno in cui essa deve aver luogo e ci mettono in condizione di compierla, mentre la ragione considera una follia questo preambolo tracotante”. Certamente, di Lawrence, si potrebbero passare ore a dissezionare la leggenda. Lawrence è un gentile eversore naturale, uno spirito incasellabile.

Ma, in un gioco letterario, suggeriamo di considerarne la vita e le opere come elementi per un suo inserimento nel nuovo Pantheon del centrodestra in via di fusione. Anzi, Lawrence è la nuova destra. Conservatore e riformista al tempo stesso. Il senso del dovere e dell’onore (elementi prettamente di destra) lo caratterizzano sin da bambino, quando difendendo un coetaneo bullizzato, si spacca la caviglia e per spirito di servizio assiste in piedi, appoggiato al muro, ingessato, alla lezione di matematica. Lawrence era patriottico ma non con un concetto di patria universale, di abbraccio ecumenico. Afferma Ocampo: “La patria ideale per cui voleva battersi era un po’ quella “di cui lo spirito umano non ha mai saputo il nome”, non si limitava ai confini della Gran Bretagna. Nei sette pilastri della saggezza scrive: “Volevo creare una nuova nazione, restaurare nel mondo un’infanzia perduta…”. Ed ecco quindi il suo tentativo multiculturale di unificare la nazione araba sotto il cappello della Gran Bretagna, oltre il colonialismo (al punto da accompagnare l’amico emiro Feisal a Buckingham Palace); anche perché, a chi lo criticava nella sua azione contro gli interessi dell’espansionismo imperiale britannico, lui rispondeva: “Quando un uomo serve due padroni e deve offenderne uno, è bene che offenda il più potente”. Sulla libertà sessuale Lawrence era virile e al contempo fluido (c’è un capitolo intero del libro dedicato all’omosessualità). Amava le donne, ma nel 1917 fu catturato, torturato e persino sodomizzato da parte del bey turco del villaggio di Dar’a. L’episodio, uno dei più crudi della letteratura, fu narrato nei Sette pilastri e solo accennato nel film-biografia di David Lean. Da allora, nonostante l’onore violato, Lawrence ampliò -diciamo- le vedute; e probabilmente, oggi, avrebbe accettato (più in quota Forza Italia che Lega) una versione revisionata della legge Zan. 

Inoltre, Lawrence rimaneva borghese -anzi aristocratico- fino all’osso; era l’individualista assoluto, aveva le stigmate del leader e l’ossessione per la dignità emanata dall’uniforme che fosse quella araba o dell’esercito inglese. Ma non era mosso da potere, bensì da ideali puri ed eroici. “Lawrence era per la libertà e la giustizia. Voleva darle e riceverle. Un uomo crocefisso dalla sua volontà e una volontà crocefissa da una coscienza”, scrive Ocampo. Se Asor Rosa e la sinistra oggi si stanno appropriando di Joseph Conrad (cfr. L’eroe virile, Einaudi), non vedo perché da questa parte delle barricata non si debba arruolare il colonnello Lawrence…

 

 

 

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