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Luciano Canfora insulta Giorgia Meloni? Ecco cosa diceva Stalin nel 2013: ora tutto torna...

Giovanni Sallusti
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Non commettete l'errore di pensare che Luciano Canfora stia parlando con Giorgia Meloni, quando le dà ripetutamente della «neonazista». Per il filologo cossuttiano (venne eletto nel comitato centrale del Pci con la corrente di Armando Cossutta, giudicata troppo filorussa perfino da quelle parti) l'offesa greve, molto più da bar sport che da aula universitaria, alla leader di Fratelli d'Italia è solo l'ultimo pretesto per coltivare l'unico dialogo che persegue. Quello allo specchio, quello con se stesso e le proprie ossessioni. Se per il classicista canuto è infatti normale descrivere un'avversaria politica come «neonazista nell'animo» durante una conferenza in un liceo barese, e ribadirlo con la massima disinvoltura anche il giorno dopo a mente (?) fredda, è perché per lui il Mostro novecentesco, il totalitarismo, non è tale. Lo teorizzò proprio, in un'intervista al Riformista: «Una parola che voleva abbracciare talmente tante esperienze da risultare vacua. Totalitarismo è un concetto inutile». Con buona pace di Hannah Arendt, Karl Popper, Raymond Aron, Ernst Nolte, e tutti gli studiosi perfino più insigni del compagno Canfora che hanno speso migliaia di pagine per analizzare le caratteristiche comuni della macchina sterminatrice nazionalsocialista e di quella comunista, gemelle siamesi dell'orrore.

 

 

 

LE PERLE DI LUCIANO

No, per il nostro l'orrore può essere polemichetta di retrobottega, un cazzeggio come un altro da scagliare addosso a chi ha idee lontane dalle tue, e per colpa di questa maledetta democrazia liberale le può persino esprimere. Non ha probabilmente percepito nemmeno l'enormità di accostare alla Meloni il nome di f Hitler, visto che non mostrò alcun freno inibitorio a rivendicare per sé il nome di Stalin. Nel 1994, ad esempio, pubblicò un articolo su Limes seriamente intitolato «Grandezza di Stalin e miseria di Gorbaciov». Tra le perle dell'antichista bolscevico: «Uno statista può essere valutato per quello che ha fatto per il suo Paese. L'opera di Stalin è stata positiva, anche se aspra, per la Russia». Massì, un'opera un filo asprina, con una stima al ribasso circa 20 milioni di morti, tra carestie provocate, Grande Terrore, internamenti di massa nei gulag. «Non faccio questioni di tipo ideologico e politico», aggiungeva Canfora (e proprio qui sta il suo problema ieri come oggi, nel non riconoscere la terrificante matrice ideologica delle proprie sentenze, o degli insulti agli altri) «ma l'unico periodo positivo per la Russia è stato quello di Stalin». Nel 2013, sulle colonne del Corriere della Sera, arrivò a lamentare «la rozza equiparazione di Stalin con gli altri dittatori». Insomma signori, qui parliamo di un Macellaio specializzato, mica uno dei tanti. I mucchi di cadaveri accatastati evaporano, nelle dotte riflessioni di Canfora, contano di più cervellotici meriti storici, o l'attacco al nemico di giornata. Se lui può esplicitare nostalgie staliniste, la Meloni può ben beccarsi accuse neonaziste, è tutto un grande gioco, un incontro/scontro di categorie svuotate del la loro drammaticità carnale, della mattanza epocale che racchiudono.

 

 

 

LA FISSA DEI MIGRANTI

Nella precisazione successiva, l'accademico rosso aggiunge sofisma a sofisma, forse spaventato dalle mi nacce di querela di Giorgia (che vi vendo nella realtà ha dato alle parole il loro peso storico, morale, umano): «Il termine neonazista è un'altra cosa rispetto a nazista». Ad esempio, ci spiega, «neonazista è l'atteggiamento di chi usa le navi da guerra per respingere i migranti». Quindi, l'Australia è chiaramente una nazione neonazista, visto che schiera la marina militare per contrastare l'immigrazione clandestina, non un Paese di cultura e diritto anglosassone che lasciò migliaia di ragazzi a un emisfero di distanza per combatterlo, il nazismo. Maneggiata dallo storico comunista, la Storia diventa arbitrio, delirio, tavolozza bianca su cui proiettare le proprie allucinazioni ideologiche. Pensa che siano tutti come lui, Canfora, non avverte alcuna stortura nell'elogiare o nel tirare dentro la cronaca la tragedia ultima, i nomi di comprovati genocidi, lo spettro di Auschwitz o quello della Kolyma, il terribile lager staliniano. Del resto poche settimane fa, commentando al Corriere le immagini degli ucraini massacrati e ridotti a profughi dal signore che vuole restaurare la sua vecchia, mai dimenticata Unione Sovietica, affermò tranquillamente: «La storia di una Irina che perde il bambino è un caso particolare e basta». Verissimo, e per noi è più che sufficiente, è per questo che non siamo neonazisti, non siamo neostalinisti, non siamo Canfora. 

 

 

 

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