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Niccolò Ghedini, i funerali nel Veneziano: "Cos'hanno appoggiato sopra la bara"

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"Era più di un avvocato", ha scritto Vittorio Feltri di Niccolò Ghedini. Difensore, compagno di partito, amico, quasi un figlio acquisito di Silvio Berlusconi, suo confessore e infaticabile (e impagabile) consigliere politico, quasi il tarantiniano Mister Wolf dentro Forza Italia, l'uomo "che risolve problemi". L'ultima volta qualche giorno prima di morire a 62 anni per le complicazioni della leucemia con cui combatteva da anni. Lo ha rivelato Ignazio La Russa: una telefonata a tarda sera, la richiesta di prendere in mano il dossier delle candidature del centrodestra in Sicilia. E l'indomani mattina era tutto risolto. 

 

 



Tuttavia Ghedini era, nell'animo, un uomo di legge. Una vita passata tra le aule dei tribunali, sempre in prima fila accanto al suo maestro Piero Longo. E sotto i riflettori, da quando ha iniziato a difendere Berlusconi in processi dall'altissimo impatto mediatico, come quelli del caso Ruby. Scontri durissimi (ad esempio, con Ilda Boccassini) che non cancellavano il rispetto infinito nei suoi confronti degli "avversari", come confermato dalle toccanti parole del procuratore di Milano Antonio Sangermano

 

 

 


Non deve stupire, dunque, che ai funerali di Ghedini, celebrati a Santa Maria di Sala, cittadina tra Padova e Venezia dove viveva, lontano dai clamori romani, sulla sua bara sia stata appoggiata la toga da avvocato. "Non vado a cavallo, non scio. Il mio hobby è il mia lavoro", amava ripetere il senatore azzurro. E la sua vita era la sua famiglia: all'arrivo del feretro, insieme ai familiari, è stato portato anche uno dei cani dei Ghedini, un terranova nero di nome Thor, rimasto poi accucciato, in attesa, sul sagrato della chiesa. 

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