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Gas, Massimiliano Fedriga: "Tre idee per uscire da questa crisi"

Pietro Senaldi
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«Sono molto cambiato in questi cinque anni passati a fare il governatore».

Cosa è successo?
«La pandemia e l'esperienza da amministratore locale, dopo aver fatto il parlamentare a Roma per due legislature. Entrai alla Camera che non avevo ancora compiuto 28 anni».

E come è cambiato?
«Il virus e l'esperienza da presidente della Regione mi hanno fatto vedere la politica sotto un'altra prospettiva, nella quale il dovere di governare, l'importanza di farlo bene e la necessità del risultato prevalgono sullo scontro, a volte anche personale, con l'avversario. $ mutato anche il mio rapporto con i rivali, ho colto l'utilità di uno scambio con l'opposizione e con gli altri. Ovviamente permangono scontri e diatribe. Ma cerco sempre di limitarli alle idee».

La pandemia ha messo i governatori in primo piano, e quelli del Nord-Est ne hanno avuto un grande beneficio d'immagine...
«I governatori sono stati, ingiustamente, descritti come dei piccoli dittatori che disponevano delle vite dei cittadini. Chi leggerà il mio libro capirà che non è andata così. Abbiamo avuto dubbi, timori... ma abbiamo sempre lavorato per l'interesse generale».

 

Quando un politico prende carta e penna per scrivere un libro, generalmente è un indizio che ha un grande progetto per la testa. La fatica letteraria ha il sapore del trampolino più che del guardarsi indietro. L'interessato però nega, e lo fa fin dal titolo, Una storia semplice, «con la quale voglio raccontare la mia trasformazione, umana e politica, partendo dalla pandemia, ma non solo; è un modo per spiegare le scelte fatte, le paure, i dubbi». E soprattutto, come recita il sottotitolo, «la Lega, il Friuli Venezia Giulia, la mia famiglia», che sono un tutt'uno, pubblico e privato. Per Massimiliano Fedriga, 42 anni, presidente del Friuli Venezia Giulia intenzionato a ricandidarsi la prossima primavera, in fondo è sempre stato così, la politica e la famiglia sono unite, da quando dovette chiedere ai genitori il permesso di iscriversi alla Lega di Umberto Bossi, nel 1997, perché lui aveva 17 anni e da solo non poteva. Caso vuole però che "Una storia semplice" sia anche un'involontaria citazione del racconto-capolavoro di Leonardo Sciascia, un noir dove le istituzioni si intrecciano con il malaffare, titolato proprio come l'autoanalisi letteraria di Fedriga, che fa capire come, al di là delle etichette, le storie semplici non esistono e, se esistono, hanno dentro comunque una grande complessità. E in fondo, ci sono ricerca ed esternazione di complessità nelle pagine del governatore, che denuncia un fastidio considerevole per i toni della politica italiana.

Governatore, lei non è candidato, quindi non è protagonista di questa campagna elettorale, ma cosa ne pensa, le piace?
«Non mi piace il fatto che in gran parte sia fondata sul tentativo di delegittimazione dell'avversario attraverso la denigrazione sistematica, per cui si affibbia un bollino, da fascista a putinista ad anti-draghiano, per togliere dignità a lui e alle sue idee e rifuggire da un confronto serio».

Qualsiasi riferimento al leader del Pd, Enrico Letta, è puramente casuale...
«Premetto che il centrodestra non è esente da colpe in questo meccanismo; e però è vero che a sinistra ne hanno fatto una regola, forse la regola».

Anche lei non è esente da colpe?
«Sicuramente, però mi sono imposto di non farlo e di non personalizzare mai, anche se a volte ti saltano i nervi e sarebbe la via più semplice, per usare un aggettivo che ho in testa in questo periodo. Non lo faccio per me e per il Paese, perché nuoce al dibattito pubblico».

Non lo fa per lei anche perché non paga più?
«Cinque anni fa in Italia ha trionfato il partito del "vaffa". $ emblematico che sia tramontato in fretta e che resiste solo per il reddito di cittadinanza, che io non condivido ma che è comunque una cosa fino troppo concreta. In Italia è cambiata la sensibilità, gli elettori sono stanchi dell'aggressività dei politici, che raccontano un Paese che hanno in testa loro ma che non c'è nella realtà».

Eppure il Paese è ancora molto arrabbiato...
«Forse oggi più disilluso. Il fatto è che non basta raccogliere la rabbia; se non sei capace di tramutarla in un progetto politico, non riesci a stabilizzare il consenso, la gente vede che non sei affidabile».


Perché Letta carica a testa bassa?
«Lo chieda a lui. Suppongo si trovi in grandi difficoltà. Io penso che l'insulto all'avversario, e alla Lega viene sempre detto di tutto, sia più che altro una grossa testimonianza di debolezza interna e di mancanza di una proposta politica: attacco perché non ho argomenti validi».

Cosa risponde a chi accusa la Lega di fare il gioco di Putin?
«Se spieghi e giustifichi entri nel terreno di chi gioca a delegittimare. Mi sembra evidente che siamo di fronte ad affermazioni ridicole comunque».

Ma non si arrabbia?
«Taccio per non svilire la politica. Anche la sinistra sa benissimo che non ci sono rapporti ambigui tra la Lega e la Russia».

Sulla guerra, le sanzioni e le conseguenze del conflitto però il centrodestra non è compatto...
«Siamo in campagna elettorale, ciascuno dei partiti della coalizione ha un candidato premier, è normale ci sia concorrenza e che le posizioni siano in parte differenti, altrimenti saremmo un partito unico. Conta la capacità di sintesi finale, e quella ci sarà».

Chi governerà?
«La regola che ci siamo dati dice che governerà chi ha più voti. Ma...».

Ma cosa?
«Mi auguro che in futuro, a seguito delle riforme necessarie, si arriverà a far conoscere ai cittadini il premier della coalizione prima del voto. $ una questione di trasparenza. La democrazia non è solo poter votare, ma farlo anche nella piena consapevolezza. Con questa legge elettorale invece il voto è una mezza lotteria».

Lei non ha esultato quando è caduto Draghi. E adesso?
«Mi spiace sia caduto ma la realtà dei fatti non corrisponde alla lettura che ne danno i partiti che vorrebbero oggi essere i rappresentanti di Draghi in campagna elettorale».

Come è andata veramente?
«M5S ha sfiduciato Draghi perché non voleva che nel decreto Aiuti fosse inserito il termovalorizzatore di Roma. Una giustificazione evidentemente».

Poi però ha staccato la spina anche il centrodestra...
«Noi volevamo andare avanti, ma senza più M5S, perché se li avessimo riammessi in maggioranza avremmo indebolito ancora di più il governo, perché avrebbe legittimato ogni partito a sfiduciare il premier su un singolo provvedimento. Il Pd non ha fatto il nostro ragionamento, ha insistito perché MSS rientrasse in maggioranza, con l'idea di allearvisi in vista del voto, ed è successo il patatrac».

Non era evitabile?
«Draghi sarebbe stato sottoposto a una roulette russa quotidiana, una situazione non compatibile con l'emergenza nazionale che stiamo vivendo».

Vi accusano di essere stati irresponsabili nello staccare la spina proprio a causa dell'emergenza nazionale e del caro bollette...
«Non nascondiamoci dietro a un dito. Siamo di fronte a eventi internazionali e a tensioni che sono ben oltre i governi nazionali».

La politica, e il premier, non si sono accorti di quello che stava accadendo o hanno volutamente ignorato?
«Non era facile. Nessuno ipotizzava una situazione così estrema».

E adesso, cosa dovremmo fare?
«Bisogna lavorare su tre fronti: risorse pubbliche per tamponare l'emergenza, come successo per il Covid, staccare il prezzo del gas da quello dell'energia prodotta da altre fonti, in modo da tamponare la speculazione, e adoperarsi perché in futuro non ci si venga mai più a trovare in balia dei mercati, cercando di rendersi autosufficienti».

Il fronte occidentale però non è compatto...
«Alcuni Paesi Nato, e addirittura Ue, si stanno arricchendo sulle miserie di altri. $ un suicidio perché così, per inseguire un interesse immediato e momentaneo, si fa il gioco di Putin e si rischia di spaccare il fronte occidentale. Tutte le democrazie devono capire che, come noi abbiamo rispetto dell'alleanza, e paghiamo il prezzo della guerra, altri devono evitare di speculare sudi noi. La mancanza di solidarietà rischia di affossare le democrazie occidentali».

La guerra non ci sta costando troppo?
«Sono preoccupato perché, a queste condizioni, a molte imprese conviene chiudere. Le sanzioni vanno bene, ma l'Europa non può continuare a lasciare gli Stati senza un ombrello e far pagare la guerra a industrie e cittadini. L'Europa deve capire che difendere la tenuta sociale significa difendere la democrazia, perché il rischio che l'opinione pubblica si rivolti c'è, e questo aiuterebbe solo Putin».

La nuova premier inglese ha stanziato 150 miliardi in un giorno per le imprese...
«Purtroppo noi non siamo l'Inghilterra, non battiamo moneta, le decisioni devono essere collettive».

Se Draghi ci fosse sarebbe tutto più semplice?
«Ma Draghi c'è, malgrado sia dimissionario. E sono convinto che presto vedremo qualcosa».

 

 

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