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Auguri Diabolik, rispetto ai criminali d'oggi sei un dilettante

Diabolik e Eva Kant  

Nacque tutto da un'idea bizzarra di due signore diaboliche e femministissime, passò dalla censura di un Pretore, esplose nel fede entusiamo dei lettori. Piccola storia di un mito di massa.

Francesco Specchia
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Di solito, della leggenda di Diabolik, non si ricorda tanto la copertina del primo numero, l’1 novembre 1962, ma l’altrettanto leggendaria figura del Pretore di Lodi che, cattolicissimo e scandalizzato, ne vietò le diffusione nelle edicole. Per dire il potere della magistratura. 

Più che la comparsa nell’immaginario pop di quella figura oscura avvolta in  calzamaglia nera, dotato di occhi di ghiaccio, asessualità conclamata (che poi, una volta incontrata Eva Kant, diventerà pura monogamia pura) e tendenza a pugnalare chiunque; be’, più che quello, i lettori evocano la creazione di un mondo in cui, per la prima volta, il male surclassava il bene.  L’epopea del “re del terrore”  nasce dall'esperienza familiare di Angela Giussani, moglie dell’editore Gino Sansoni esperto in pubblicazioni pulp, donna indipendente e geniale in una Milano che si trasformava rapidamente in metropoli europea alla fine degli anni ’50. Leggenda vuole che dopo due anni di fallimenti in proprio con la casa editrice Astorina, rielaborando una storia ispirata dalla lettura di Fantomas, Angela scriva il primo episodio (Il re del terrore, appunto) e lo faccia disegnare nella sua cucina da Zarcone, raggiunto da altri giovani disegnatori. Dopo 14 avventure, accolte con crescente successo, si fa affiancare dalla sorella minore Luciana che ne proseguirà il lavoro fino al nuovo millennio. 

Diabolik, con Tex Willer e Topolino, è stata -ed è-  la vera mitologia del fumetto italiano.  Oggi le sue vicende editoriali sono nelle mani scaltre di Mario Gomboli, architetto, già prolifico sceneggiatore delle trame delle sorellone, tutore del loro  lascito culturale. Diabolik ci ha accompagnati sin da piccoli, è uno spettro che cresce assieme al nostro immaginario. Ed è una serie prolificissima.   All’inizio di quest'anno con una festa speciale e un albo fuori serie si contavano 900 titoli, ma è facile perdersi tra riedizioni, numeri speciali e ricoloriture. Interessanti, nell’evolversi delle sue avventure sono i dettagli della sua  biografia che si compongono come puzzle sul  personaggio. Che rivelerà le sue origini solo nel 1968, quando si capirà che l’anaffettività (per usare un eufemiismo)  di Diabolik deriva dal fatto che sia un orfano; che è stato cresciuto in un’ isola dominata dal capo brigante King; che, fuggendo da quella prigione ispirata ai romanzi di Dumas, assume una falsa identità per stabilirsi nell’immaginaria città, presumibilmente francese, di Clerville. Alla terza avventura del nostro, Lady Eva Kant entra in scena dapprima come vittima e poi come complice, colpita dall’abilità del criminale misterioso nell’ammazzare e soprattutto rubare collier. E Eva rimpiazza la di lui precedente fidanzata Elisabeth; e gli viene in soccorso quando lui sembra ormai in trappola braccato dal suo celebre avversario, l'ispettore Ginko (dal nome di Gino Sansoni con l’aggiunta di un’inevitabile K, allora molto di moda). Tra l’altro, questo episodio dell’arresto è stato la base su cui i Manetti Bros per il loro Diabolik uscito a Natale dello scorso anno tra critiche alterne, mentre la prossima pellicola, attesa a novembre, si rifà al 16° numero di Diabolik, Ginko all'attacco del 1964. 

Noi preferiamo  sempre il Diabolik fluorescente di Mario Bava, film  del ’68, e la sua versione parodistica , Arriva Dorellik, con Johnny Dorelli. Diabolik è passato indenne da tutto, perfino dal politicamente corretto. È un eroe anche solo per questo.

Buon sessantesimo, Diabolik: rispetto alla gente che c'è in giro oggi come criminale fai la figura del dilettante...

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