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Leonardo Da Vinci, la scoperta che stravolge la storia: chi era sua madre

Lucia Esposito
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Una storia che rivoluziona la Storia e impone un nuovo sguardo su Leonardo che, dopo più di cinquecento anni, riesce ancora a stupirci e a emozionarci. Il genio è italiano solo a metà perché la sua mamma era una schiava arrivata dalle montagne del Caucaso. Una scoperta che per la sua portata deflagrante poteva finire in un saggio accademico a beneficio degli studiosi, ma che il professor Carlo Vecce, esperto della civiltà del Rinascimento e in particolare della figura di da Vinci, ha preferito consegnarci sotto forma di romanzo. Oltre alle sue rivoluzionarie scoperte storiche voleva che emergesse l’esistenza dolorosa di una donna venuta da lontano a cui erano stati tolti la libertà, i sogni, la voce e quasi certamente anche il nome. Una donna cancellata da tutti i libri che adesso, finalmente, riemerge nitida dalle pieghe polverose di un ingiusto passato.

 

 


Il romanzo s’intitola Il sorriso di Caterina. La madre di Leonardo (Giunti editore, pp.526, euro 19), ed è stato presentato ieri a Firenze, nella villa quattrocentesca La Loggia, sede storica di Giunti che, per la sua antica attrazione e attenzione verso da Vinci, viene definito «l’editore di Leonardo». Per Antonio Franchini, direttore editoriale di Giunti, questo romanzo è «epico, corale e mondiale. Siamo di fronte a una scoperta storica di rivoluzionaria importanza. In questo libro ci sono parti frutto dell’immaginazione così vere che sembra impossibile che siano state inventate. Caterina ha vissuto un dramma di potente attualità e di potente resa letteraria», spiega. «Il libro è un’ibridazione riuscita tra il codice dello storico e quello del narratore», conferma l’accademico dei Lincei Paolo Galluzzi.

 

 


Dopo annidi ricerche Vecce è arrivato dove tutti si erano finora soltanto avvicinati: ha trovato il documento che dimostra che la madre di Leonardo da Vinci era una schiava circassa, proveniva cioè da una regione del Caucaso. Nell’archivio di Stato di Firenze ha recuperato l’atto di liberazione della schiava Caterina. Il documento è autografo del notaio Ser Piero da Vinci: il papà di Leonardo. Siamo all’inizio di novembre del 1452, il futuro genio ha sei mesi e certamente è tra le braccia di sua madre in una vecchia casa fiorentina, alle spalle di Santa Maria del Fiore. Vecce ha recuperato anche il quaderno delle ricordanze di Francesco Castellani in cui il nobile racconta di quando Caterina era balia di sua figlia, Maria. Costava 18 fiorini l’anno. «Una cifra altissima per l’epoca perché la donna – sostiene Vecce – era sostanzialmente la schiava sessuale del suo padrone». Un documento che implicitamente conferma che Leonardo non era il primogenito di Caterina dal momento che quest’ultima, nel 1450, allattando la figlia del nobile, doveva avere già partorito.


IL RAPIMENTO
Delle origini di Caterina si sa solo che suo padre si chiamava Jacob, probabilmente si trattava di un personaggio importante in quanto, nell’atto di liberazione, viene citato il patronimico («Caterina filia Jacobi») e questo non accadeva mai. Dopo essere stata rapita poco più che bambina, probabilmente dai tartari, il viaggio dalle montagne del Caucaso portò la ragazza con le catene alle mani fino ad Azov, l’antica Tana, alla foce del fiume Don, da cui poi fu trasportata, attraverso il Mar Nero, nel 1439 a Costantinopoli: qui passò in mano a mercanti veneziani, che la trasferirono in Laguna. Nel 1442 giunse a Firenze. Aveva quindici anni e fu acquistata dal fiorentino Donato di Filippo di Salvestro Nati, un avventuriero che aveva interessi finanziari e diverse botteghe di battiloro a Venezia. Caterina divenne serva a casa di Donato e di sua moglie Ginevra. Quando lui morì lasciò tutti i suoi soldi al piccolo convento di San Bartolomeo a Monteoliveto, fuori Porta San Frediano, chiedendo la realizzazione della cappella di famiglia e della propria sepoltura. Il notaio di fiducia fu sempre Piero da Vinci. «E Leonardo eseguì la sua prima opera proprio per quella chiesa: l’Annunciazione. Non fu un caso probabilmente», ipotizza Vecce.

Tornando a Caterina, una volta liberata andò ad Anchiano, piccolo borgo del comune di Vinci, dove Leonardo visse suoi primi dieci annidi vita. In seguito, come sappiamo dai documenti, la schiava liberata sposò Antonio Butti, detto Attaccabrighe, e visse vicino a Vinci, dando alla luce altri cinque figli, quattro femmine e un maschio. «Leonardo ha certamente ereditato dal papà l’amore per la scrittura, ma la mamma gli ha trasmesso il desiderio di libertà, il non piegarsi ai pregiudizi, l’amore immenso per la natura, gli uccelli e i cavalli soprattutto. Infine, l’immaginazione creativa: le caucasiche erano abilissime nel disegnare e nell’ordire i broccati e anche per questo venivano acquistate dai mercanti».

IL SORRISO
Il professor Vecce lascia le rive sicure della storia per abbandonasi alle suggestioni. «Il sorriso di Caterina» è certamente un titolo evocativo. La Gioconda, la Scapiliata, l’Angelo della Vergine delle Rocce, hanno un sorriso che è una smorfia delle labbra, un segreto che aspetta di essere svelato. Vecce abbraccia la tesi che fu di Freud. «Leonardo ha riprodotto sulle tele il sorriso della sua mamma». Poco prima di morire, Caterina raggiunse il figlio Leonardo a Milano, vivendo per un periodo con lui. E qui morì. Nel suo taccuino da Vinci elenca dettagliatamente tutti i costi per la sepoltura: la croce, i quattro preti, i quattro chierici, i sotterratori... «Dietro la freddezza dei numeri si nasconde il più grande dolore della sua vita. Probabilmente la donna fu seppellita nella cappella dell’Immacolata concezione della chiesa di san Francesco Grande, poi distrutta». Incredibilmente, la storia di Caterina non finisce con il romanzo di Vecce. A Milano, dietro Sant’Ambrogio, nei lavori perla nuova sede dell’Università Cattolica, sta ricomparendo la cappella dell’Immacolata Concezione, quella dove Leonardo abbozzò la sua «Vergine delle Rocce». Vecce racconta: «Sono tornati alla luce il muro a cui era addossato l’altare, il pavimento nel quale s’apriva la cripta, i frammenti del cielo stellato dipinto sulla volta dagli Zavattari. Nella cripta, confusi tra loro, anche resti umani di antiche sepolture. Chissà forse anche quelli di Caterina...». Una vita che la storia ha frettolosamente sepolto, ma che cinque secoli non sono riusciti a spazzare via. 

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