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Mario Giordano smaschera il bandito: "Case e Rolex coi soldi delle ambulanze"

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Mario Giordano
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Per gentile concessione dell’editore e dell’autore pubblichiamo un brano estratto da “Maledette iene. Quelli che fanno i soldi sulle nostre disgrazie”, il nuovo libro di Mario Giordano (Rizzoli editore) in libreria da domani. 

Pensavamo fosse un’ambulanza. Invece era uno spazzaneve. Proprio così: hanno vinto le gare per fornire il pronto intervento in mezza Italia, dicendo di avere a disposizione una lista infinita di mezzi in grado di assistere i malati. In realtà si è poi scoperto che in quella lista c’era di tutto. Mezzi farlocchi. Mezzi inesistenti. Mezzi che erano già utilizzati altrove (alcuni addirittura in tre posti diversi, uno in quattro posti diversi). Semplici furgoni. E persino uno spazzaneve. Come si possa trasportare un malato su uno spazzaneve non è dato sapere. Ma che il servizio non fosse a livelli dignitosi lo testimonia anche il modo in cui le ambulanze, quando erano vere ambulanze, venivano poi realmente usate. «Le ha mai viste sanificare?» chiedono i magistrati a un dipendente. «Mai.» Per contratto le ambulanze dovrebbero essere sanificate dopo ogni trasporto. Invece niente.

«Una volta avevamo a bordo un malato di tubercolosi» racconta ancora il dipendente. «Abbiamo chiesto di purificare il mezzo con l’ozono.» E l’ozono c’era? «No.» E allora che cosa avete fatto? «Il responsabile ci ha dato uno sgrassatore». Ma certo: un po’ di Cif al limone, e via. Sterilizzazione perfetta. E dire che l’ambulanza dovrebbe essere il rifugio sicuro. La certezza. La presenza che salva. «Chiamate l’ambulanza.» «Serve un’ambulanza». «Stai tranquillo, arriva l’ambulanza». Per chi sta male l’ambulanza è l’àncora cui aggrapparsi. La speranza di salvezza. Non può essere uno spazzaneve. O un abitacolo infestato dalla TBC. Invece succede anche questo. Il responsabile? È lui: Francesco Calderone, detto Ciccio, messinese di Graniti, 43 anni. Lo chiamano «il re delle ambulanze italiane». Con i suoi fratelli Antonio e Concetta, detta Tittina, ha creato un sistema di cooperative che ha gestito il servizio in molte città d’Italia. E continua a gestirlo. L’unica differenza è che ora, a capo della principale di queste coop, la First Aid One, c’è un amministratore giudiziario. Loro sono in carcere. Su tredici contratti di appalto che hanno siglato negli ultimi cinque anni, infatti, ben otto sarebbero macchiati da «gravi delitti».

IN CARCERE
Alcuni di questi delitti avrebbero messo a repentaglio in modo serio la sicurezza dei malati. E gli altri cinque contratti? Non è detto che siano regolari. I magistrati non hanno fatto in tempo a controllarli. «Abbiamo fatto un’indagine a campione perché non volevamo allungare troppo i tempi» spiegano. Dunque: hanno controllato otto contratti su tredici. E non ce n’era uno che andasse bene. Neppure per sbaglio. L’ultimo appalto finito nel mirino dei giudici è quello della ASL di Napoli del maggio 2021, del valore di quasi 5 milioni di euro (4.834.305 euro per l’esattezza). Il primo, quello da cui è partita l’inchiesta, è quello dell’ASST di Pavia del 2017, per un valore di oltre 2 milioni di euro (2.293.776 euro per l’esattezza). In mezzo gli appalti nelle Marche, a Pescara, in Umbria, uno generale per la Lombardia, un altro specifico a Vimercate (Monza e Brianza) e un altro ancora in provincia di Roma.

Valore totale: 16,5 milioni di euro. Tutti pagati, con le tasse, dai cittadini italiani. I quali però ne hanno ricevuto in cambio un servizio tutt’altro che rassicurante. Durante una puntata di Report (13 dicembre 2021), vengono mostrati cinque o sei malati accatastati, per risparmiare, all’interno dello stesso mezzo. Ci sono pure barelle rotte. E dagli atti successivi (settembre 2022) emerge che le ambulanze usate per il trasporto pazienti venivano utilizzate anche per trasportare merci (persino un motore a scoppio) o la spesa (ci sono le foto all’Eurospin). A volte anche come alternativa alla mensa aziendale. Sulle ambulanze, infatti, i dipendenti consumavano pure i loro pasti, mangiando e bevendo lì dove pochi minuti dopo sarebbero stati caricati feriti e malati. Sangue e briciole, per la gioia delle infezioni.

PERSONALE SFRUTTATO
La First Aid One, pur essendo formalmente una cooperativa, è arrivata a fatturati da piccola azienda. Circa 18 milioni di euro (18.367.079 euro, per l’esattezza, nel 2020 e 17.975.919 euro nel 2021, quando il business è finito definitivamente nel mirino della magistratura). I ricavi sono stati possibili vincendo gare su gare con offerte molto basse, così basse da mettere fuori gioco ogni concorrenza. Secondo i magistrati, però, i Calderone riuscivano a realizzare comunque profitti, nonostante i prezzi stracciati, perché riducevano i costi in modo illegale. Usando mezzi non adeguati, come si è visto, e a volte pure mezzi inesistenti («false dichiarazioni e attestazioni in ordine alle autoambulanze messe a disposizione per lo svolgimento del servizio»). E poi anche sfruttando i lavoratori, cioè pagandoli meno, costringendoli a turni assurdi e lesinando sulle condizioni di sicurezza e di igiene. Tanto che i magistrati parlano di «una vera e propria associazione a delinquere nell’ambito di diversi appalti pubblici di servizio sanitario finalizzati ad assicurare il conseguimento di profitti illeciti». In altre parole: vincevano le gare dell’assistenza pubblica non per assicurare un buon servizio, ma per assicurarsi buoni guadagni.

Peraltro Francesco detto Ciccio Calderone nemmeno avrebbe potuto vincerli, quegli appalti. Anzi, nemmeno avrebbe potuto partecipare alle gare. Risulta infatti avere condanne per ventotto delitti (leggasi ventotto) di falso e truffa aggravata, oltre ad altre condanne per turbativa d’asta e una serie di reati minori. Nel 2013 ha smesso di figurare come responsabile della cooperativa e ha messo al suo posto quella che negli atti viene definita una «testa di legno». È sempre Ciccio, però, a gestire, insieme con i suoi fratelli. E la gestione è piuttosto disinvolta perché, come scrivono i magistrati, «Francesco Calderone e i suoi familiari hanno considerato la First Aid come il loro bancomat personale». Bancomat Proprio così: beni di lusso, vacanze e pranzi costosi. Senza dimenticare lo shopping, ovviamente. Francesco Calderone sembra essere particolarmente appassionato alle boutique chic. Infatti fa numerosi acquisti in via Monte Napoleone a Milano, da Louis Vuitton, da Moncler e da Christian Dior. Compra magliette, ovviamente Ralph Lauren, e scarpe, ovviamente Hogan. Ma non disdegna di farsi pagare dalla cooperativa anche le piccole spese domestiche, persino due scontrini del supermercato Esselunga da 297,98 e 77,63 euro. E inoltre cinque Rolex (usati, però), due Maserati (Quattroporte e Levante), le vacanze a Madonna di Campiglio e una bella casa ad Arese da 660.000 euro. Tutto sul conto delle ambulanze.

E, sempre con i soldi delle ambulanze, la sorella Concetta si è comprata una casa a Messina. Il fratello Antonio, invece, ha preferito investire nei cavalli, entrando nella scuderia Mag Horse Racing, solo purosangue di qualità. Tutti e tre i fratelli, però, amano in particolare i momenti conviviali: infatti hanno speso ben 2588 euro per una cena per diciannove persone, casualmente nel giorno del compleanno di Antonio (il 19 gennaio 2020); altri 5919 euro per una cena per venti persone una settimana dopo (26 gennaio 2020), e così via. Tutto sempre regolarmente pagato dalla cooperativa, mentre le ambulanze della medesima mettono a rischio la salute dei pazienti. Del resto funziona così, no? La coop non deve garantire il soccorso ai malati. Deve garantire il soccorso alle spese dei Calderone. In tutto e per tutto. In una cena, per dire, hanno bruciato «più di 3000 euro solo per il bere», con bottiglie di champagne «da 250 euro l’una». Immaginiamo che abbiano bevuto molto. Forse troppo. Se sono stati male, ben gli sta. E se a soccorrerli fosse arrivata una delle loro ambulanze...

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