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Marco Travaglio tre volte orfano: Berlusconi, Davigo e Putin...

Corrado Ocone
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Con l’avanzare minaccioso su Mosca della brigata Wagner non si è indebolito solamente il potere di Vladimir Putin. È anche crollato in poche ore, nel piccolo cortile di casa nostra, uno dei pilastri della narrazione di Marco Travaglio: l’imbattibilità e la leadership incontrastata sul suo popolo del leader russo. Proprio questa sua forza avrebbe dovuto consigliare l’Occidente, secondo il nostro, a non aiutare più l’Ucraina, favorendo nel contempo una “pace” immediata che sarebbe stata di fatto una resa incondizionata alla prepotenza dell’autocrate. Come un pugile suonato, Travaglio, di fronte alla dura realtà dei fatti, non ha potuto reagire altrimenti che prospettando scenari apocalittici perla Russia. Ci ha implorato quindi a non guardare positivamente agli ultimi sviluppi bensì ad augurarci che il potere di Putin si consolidi di nuovo (“Ridateci il Puzzone” ha titolato significativamente il suo editoriale). Quasi che i dittatori non vadano combattuti perché dalle viscere della storia ne potrebbero sempre emergere di altri e peggiori. Un cattivo ragionamento o sofisma che, in verità, maschera una profonda nostalgia del direttore del Fatto per la perdita di un punto di appoggio essenziale per il suo argomentare.

 


In verità, questo di Putin non è per Travaglio l’unico colpo sinistro ricevuto ultimamente dal cieco destino. È come se nel giro di una settimana o poco più fossero caduti ad uno ad uno tutti i pilastri su cui reggeva il suo mondo. Il primo era sicuramente Berlusconi, l’uomo sulla cui demonizzazione il nostro ha costruito tutta la sua carriera e tutta la sua fortuna (anche economica). Pensare Travaglio senza Berlusconi è come pensare alla terra senza il sole: era dalla sua luce riflessa che egli riceveva vita e vigore; è opponendosi a lui, sempre e comunque, a prescindere, che egli era uscito dall’anonimato e conservava ancora oggi un suo pubblico nonostante i tanti teoremi costruiti ad arte sul Cavaliere fossero col tempo stati tutti smascherati.

 

 

La reazione di Travaglio ai “funerali di Stato” è stata eloquente: la sua voce contraria alla “santificazione” strideva così tanto con le solenni esequie e con il sentimento popolare che nessuno gli ha dato ascolto nel mentre riproponeva, come un disco rotto, le solite e ormai archiviate canzoni d’organetto sul grande “corrotto” e amico dei “mafiosi”. Accuse che il nostro, non va dimenticato, ha costruito nel tempo in stretto raccordo con certa magistratura politicizzata e quasi eversiva, che ne aveva ricevuto in cambio una certificazione di santità e purezza che a un certo momento era sembrata quasi sovrumana. Che così non fosse, la storia ha contribuito a dimostrarlo. Ma lo ha plasticamente dimostrato, sempre in questa settimana di fuoco, la condanna per abuso di ufficio di Pier Camillo Davigo, l’eroe incontaminato per antonomasia del mondo di Travaglio. Putin, Davigo, Berlusconi... Un uno-due-tre da KO. A noi non resta che osservare compiaciuto come il tempo alla fine sia sempre galantuomo. Alla fine il mazzo truccato viene sempre fuori. E chi bara al gioco resta senza più carte con cui giocare.

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