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Jacovitti e Fellini quando (insieme) fustigavano il Pci

Benito Jacovitti

Al Maxxi una mostra celebra i 100 anni del fumettista anche con disegni mai esposti prima. Un viaggio incantato tra salami per aria e tanta satira

Francesco Specchia
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Jacovitti prima di Jacovitti. Sta tutto in una collaborazione segreta col sodale Federico Fellini all’assalto (satirico) degli odiati comunisti. C’è questa vignetta, affogata nei chiaroscuri e vagamente ispirata al tratteggio del grande Saul Steinberg, in cui un tizio viene arrestato e, piangendo, si rivolge all’amico col quotidiano comunista in mano: «Compagno, questo carabiniere mi porta dentro». E l’amico, sfogliando, risponde: «Compagno, l’Unità non lo dice». E l’ammanettato: «Hai ragione compagno: allora sono io che arresto il carabiniere. Evviva l’on. Gorreri...».

Il riferimento era a Dante Gorreri, allora membro della Costituente, “comunista e ardito del popolo” e bersaglio mobile degli anticomunisti. E la vignetta, inedita, è di un 24enne Benito Jacovitti. Uno Jac misconosciuto, che tra le righe di quelle battute, evoca la mitica rubrica di Giovannino Guareschi Contrordine compagni; e che, proprio, qui si firmava col nom de plume “Fran” (diminutivo di “Franco” il nome con cui veniva chiamato in famiglia, in quanto “Benito” era abbastanza impegnativo) onde evitare problemi di esclusiva con l’altro giornale con cui collaborava, il cattolicissimo Vittorioso. La suddetta vignetta fa parte della serie I due compagni, anno del Signore 1957 ed è prodotta (per la parte testi) da un altrettanto giovane Federico Fellini, futuro demiurgo dell’immaginario italiano e già così portato verso l’immaginifico.

Jacovitti, dunque, preparava materiale satirico esplosivo in coppia con Fellini. I due erano affiatatissimi, una sorta di Tex Willer e Kit Carson dell’umorismo postbellico italiano. Al punto che il manifesto del film La città delle donne, anno 1980, era stato inizialmente commissionato dal regista al disegnatore; ma in quel caso non si accordarono per una questione di dineri, e a Jacovitti subentrò il collega Andrea Pazienza. Stiamo, ovviamente, parlando di giganti.

UN TESORO Ma Benito, a quei tempi, era il campione di un’iconoclastia invincibile. Le sue vignette pseudonimate sono soltanto una delle chicche esposte alla grande mostra Jacovittissimevolmente L’incontenibile arte dell’umorismo a cura di Dino Aloi e Silvia Jacovitti con Giulia Ferracci che inaugura, a cent’anni dalla nascita del fumettista nello Spazio Extra del Museo MAXXI il 25 ottobre e resterà aperta fino al 18 febbraio 2024. Si tratta di un tesoretto di «400 tavole e illustrazioni originali, oltre a una serie di giornali, albi e libri anch’essi originali, popolate da oltre 100 personaggi indimenticabili». Main sponsor Esselunga che, alla fine degli anni Sessanta, ha avuto con Jacovitti una proficua collaborazione creativa.

Aloi, vecchia volpe della satira antica, descrive l’evento così: «L’artista diventa un fiume in piena che esonda, un mare in burrasca, una tempesta che si abbatte con la stessa incontenibile forza di chi vuole colpire nel segno, ovvero il suo pacifico lettore, che viene inesorabilmente travolto da questo uragano di invenzioni». Ed è vero. Com’è vero che, a sfruculiare tra i tesori nascosti jacovittiani, spunta altro materiale inedito. Per esempio, dal punto di vista storico/filologico, spiccano le sei tavole de I tre re, finora nascoste all’umanità e sperdute nelle cassapanche della soffitta di casa Jacovitti. I tre re sarebbero Mussolini, il Papa e il re d’Italia; ma l’intento della storia non è umoristico: ricorda gli scambi di persona e l’avventura del Prigioniero di Zenda; e il tratto abbastanza realistico, non possiede nulla del surrealismo tipico dello Jac più conosciuto, quello carico di nonsense e di esplosioni di salami, piedi monchi, galline parlanti e pesci palla sparsi a intasare le vignetta.
Altri inediti meravigliosi sono le locandine dei film. Nate da una collaborazione col produttore Dino De Laurentiis che ne era un ammiratore, i manifesti cinematografici di Jacovitti erano assolutamente innovativi. In mostra sono esposti cinque esemplari ispirati a pellicole girate tra il 1962 e il ’63: La marcia su Roma con Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi di Dino Risi; Il mafioso di Alberto Lattuada, Il maestro di Vigevano di Elio Petri, Il commissario di Luigi Comencini, e Il diavolo di Gian Luigi Polidoro tutti interpretati da Alberto Sordi. È soprattutto in quest’ultimo manifesto, trasformato in una gigantesca tavola a fumetti, che esplode tutta la creatività del grande cartoonist.

COMICITÀ POETICA Dal lato sinistro, infatti, si nota Albertone in formato Belzebù tra donnine procaci. Da quello destro scorre la storia- tra le vignette surreali del commerciante italiano Amedeo, perduto in Svezia dietro alle disinibite ragazzotte autoctone - in un incontrollato afflato di liberalizzazione sessuale. Tra l’altro trattasi, per certi versi, di un’anticipazione del Kamasultra il capolavoro comico-erotico firmato nel ’77 dallo stesso Jacovitti e Marcello Marchesi che sconvolse cattolici e femministe allo stesso modo. Gli inediti di Jacovitti sono pezzi unici storici proprio perché si discostano dalla produzione più sconosciuta. Ma, al tempo stesso, rivelano l’eclettismo del grande “Lisca di pesce”. Amato e boicottato con eguale intensità, lo Jac post-mortem scaccia i fantasmi degli estremisti d’ogni colore. Specie quelli che gli davano del “fascio” mentre lui era un «anarchico di centro». Per dire, nel ’44, Togliatti lo bollò come nemico dei lavoratori per alcune bizzarrie che s’era concesso sulle pagine stesse del Vittorioso: nel tratteggiare un mazzo di carte usò come spade i baffoni ritti di Stalin, e come soldi quelli degli amministratori rossi. Qui, alla fine, ritorna lo jacovittismo della nostra infanzia. Quello di «un mondo giocoso, irriverente e visionario, che fa riflettere mettendo il buonumore, capace» come ha scritto Vincenzo Mollica «di trasformare la comicità in poesia...»

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