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Cacciari e il patriarcato, spiazzata la Gruber
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Una lectio magistralis sulla società italiana. Massimo Cacciari, ospite di Otto e mezzo su La7, affronta il tema del “patriarcato” che le femministe e la sinistra hanno legato al drammatico omicidio di Giulia Cecchettin, dal punto di vista più scomodo e meno demagogico, quello storico.
E in pochi secondi rende assai più stretta e impervia la strada che i progressisti di casa nostra hanno imboccato da una settimana a questa parte per arrivare dritti dritti al punto: usare la “battaglia culturale” come una clava per colpire il centrodestra. Una tentazione nella quale rischiano di cadere anche le voci più in buona fede.
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Innanzitutto, esordisce il filosofo, «la civiltà occidentale si imposta su una idea di patria potestas. Questa è la realtà». Una idea che però «dura fino al nostro Rinascimento, quindi per duemila anni», prosegue Cacciari, ricordando come «già nei drammi di Shakespeare c’è la crisi del modello patriarcale. E via via questa crisi si approfondisce e viene sempre meno, soprattutto e drammaticamente nell'ultimo periodo, il ruolo all’interno della famiglia della figura maschile».
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Non si può liquidare insomma un fatto di sangue terrificante come quello compiuto da Filippo come «il trionfo della mentalità patriarcale». Al contrario, è il dubbio di Cacciari, queste tragedie potrebbero essere «il frutto del venir meno di questa centralità, di questa figura di riferimento. La famiglia patriarcale è in crisi da 500 anni e non esiste più da 200 anni», chiosa. Tra i cascami della «fine di quel modello di famiglia», tra tanti risvolti positivi come la «democratizzazione della società» e la “liberazione” delle donne, c’è da annoverare anche l’esplosione delle paranoie e dei deliri di chi, anche inconsapevolmente, in quel modello ancora vuole identificarsi.
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