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Cacciari e il patriarcato, spiazzata la Gruber

Claudio Brigliadori
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Una lectio magistralis sulla società italiana. Massimo Cacciari, ospite di Otto e mezzo su La7, affronta il tema del “patriarcato” che le femministe e la sinistra hanno legato al drammatico omicidio di Giulia Cecchettin, dal punto di vista più scomodo e meno demagogico, quello storico.

E in pochi secondi rende assai più stretta e impervia la strada che i progressisti di casa nostra hanno imboccato da una settimana a questa parte per arrivare dritti dritti al punto: usare la “battaglia culturale” come una clava per colpire il centrodestra. Una tentazione nella quale rischiano di cadere anche le voci più in buona fede.

 

 

 

Innanzitutto, esordisce il filosofo, «la civiltà occidentale si imposta su una idea di patria potestas. Questa è la realtà». Una idea che però «dura fino al nostro Rinascimento, quindi per duemila anni», prosegue Cacciari, ricordando come «già nei drammi di Shakespeare c’è la crisi del modello patriarcale. E via via questa crisi si approfondisce e viene sempre meno, soprattutto e drammaticamente nell'ultimo periodo, il ruolo all’interno della famiglia della figura maschile».

 

 

 

Non si può liquidare insomma un fatto di sangue terrificante come quello compiuto da Filippo come «il trionfo della mentalità patriarcale». Al contrario, è il dubbio di Cacciari, queste tragedie potrebbero essere «il frutto del venir meno di questa centralità, di questa figura di riferimento. La famiglia patriarcale è in crisi da 500 anni e non esiste più da 200 anni», chiosa. Tra i cascami della «fine di quel modello di famiglia», tra tanti risvolti positivi come la «democratizzazione della società» e la “liberazione” delle donne, c’è da annoverare anche l’esplosione delle paranoie e dei deliri di chi, anche inconsapevolmente, in quel modello ancora vuole identificarsi. 

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