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Franzini, il democratico rettore che per sicurezza cancella il dibattito su Israele e il conflitto

Elio Franzini

Giovanni Sallusti
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Il rettore Elio Franzini è laureato in Filosofia teoretica, anche se poi ha insegnato Estetica. Non c’è quindi bisogno che glielo spieghiamo noi: grazie a una sua decisione, nel suo ateneo, sia dal punto di vista del pensiero puro che da quello estetico, hanno vinto i fiancheggiatori del terzomondismo ideologico, dell’antisemitismo salottiero, i fiancheggiatori di Hamas. Essì, perché all’Università degli Studi di Milano è definitivamente saltato il convegno “Israele, unica democrazia del Medio Oriente” (più che un titolo, una tautologia, ma oggi è proprio l’ovvio ad essere eversivo), che già era stato rinviato una volta per il “rischio altissimo” di disordini. Con le parole degli organizzatori Cristina Franco (presidente dell’Associazione Italia-Israele di Savona) e Alessandro Litta Modigliani (presidente dell’Associazione Pro Israele di Milano): «Il rettore Franzini ci ha ribadito la sua ferma intenzione di non consentire lo svolgimento del convegno in presenza, inizialmente previsto per martedì 7 maggio. Nelle università italiane dettano legge i violenti, i facinorosi, gli estremisti, mentre a Milano c’è spazio solo per la propaganda di Francesca Albanese e Moni Ovadia».

Aggiungiamo: alla Statale è potuta andare in scena, nel Giorno della Memoria, una manifestazione di decerebrati in kefiah, con slogan come “l’indifferenza uccide, il sionismo pure” che avrebbero benissimo potuto essere farina del sacco del dottor Goebbels.

 

 

Ma un seminario che analizza l’anomalia israeliana, la titanica e occidentale anomalia israeliana, no, quella è materia compromettente. Mica per modo di dire, lo ha chiarito il poco magnifico rettore in una mail inviata agli stessi organizzatori. «La campagna mediatica che nostro malgrado ci ha coinvolti e la polarizzazione delle diverse posizioni ha ulteriormente acuito le tensioni e il clima di contrapposizione».

Cioè: l’università sospende un momento di libera manifestazione del pensiero ma era uno scherzo, vorrebbe tanto ripristinarlo, non fosse per quei maledetti media che hanno riportato la notizia (o la logica è il tallone d’Achille del professor Franzini, o ci sta allegramente canzonando). Ergo: «Non ritengo che ad oggi vi siano le condizioni, anche di collaborazione e fiducia reciproca, necessarie per contemplare un rinvio del vostro convegno in presenza».

DADAISMO METODOLOGICO - Qui piombiamo nella meraviglia, in quello che Paul Feyerabend chiamava dadaismo metodologico, per stare alla filosofia: il censore che rimprovera una mancanza di “fiducia reciproca” ai censurati. Certo, questa è censura civile e perbene, il rettore non è uno dei beceri squadristi di governo, lui propone, costruisce le condizioni, provoca ma con sorriso teoretico e fintamente benevolo: «Gentilissimi, pur prendendo atto che la proposta di svolgere il convegno online non ha incontrato il vostro favore, mi trovo costretto a confermare il mio orientamento».

 

 

È un manganello discreto e refrattario, un mezzo stop ipocrita: dai, vi concedo di parlare da remoto dell’unico Stato di diritto, dell’unica società aperta, dell’unico atomo di libertà mediorientale, mettetevi nei miei panni, sono pressato dalla teppaglia woke che la mia generazione di professori ha allevato a dosi massicce di senso di colpa anti-occidentale, vi sto venendo incontro più del dovuto, vi sto quasi permettendo di esercitare il diritto costituzionale di parola, almeno fatelo via Zoom. Ovviamente, per storpiare la citazione di un famoso film, è un’offerta che non si può accettare, almeno se si dà un senso non meramente retorico alla parola libertà. Il finale di Franzini è un capolavoro pilatesco: «Continueremo a trattare in sicurezza e con moderazione le vicende dell’attualità politica internazionale, ponendo accento alle ragioni dei conflitti, alla condanna di ogni forma di razzismo e violenza e auspicando la pace».

La pace anche con Hamas, con gli autori del pogrom d’inizio millennio, con chi lo Stato ebraico lo vuole rimuovere dalla carta geografica? E la “moderazione” che s’invoca, precisamente, in cosa consisterebbe? Nel caso di specie, magari, nel rititolare il convegno “Israele, l’unica democrazia del Medio Oriente, ammesso che questo sistema obsoleto sia meglio della sharia”? Sembrano battute, è lo stato (comatoso) della contemporaneità.
 

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