La grande sfida che attende Leone XIV è scritta nel Vangelo di Matteo: «Sia il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”». Nei dodici anni di papato di Francesco la zona grigia è stata ampia, non solo per i semplici fedeli: «dubbi» su quello che intendesse dire e fare il papa argentino ne hanno avuti anche i cardinali. Dubbi innanzitutto sulla dottrina, in materia di famiglia, matrimonio, morale sessuale e sacramenti, rapporti con le altre religioni e in particolare con l’islam. Domande che si sono accumulate e attendono risposte, e si legano ai numeri della diffusione del cattolicesimo, in via di dissolvimento in Europa. Robert Francis Prevost dovrà decidere se la salvezza della Chiesa è in una fede più profonda o nella ricerca di un compromesso con la mondanità. Due strade opposte.
Prima di diventare papa, nel lontano 1969, Joseph Ratzinger aveva già scelto: «La Chiesa diventerà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. (...) Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la fede e la preghiera al centro dell’esperienza (...) Gli uomini scopriranno allora la piccola comunità dei credenti come qualcosa di totalmente nuovo». Negli anni della contestazione il futuro pontefice, quarantenne teologo progressista a Tubinga, capì qual era la posta in gioco: «Chi voleva restare progressista doveva rinunciare alla sua identità». Coerente con queste convinzioni, Benedetto XVI è stato il papa della Chiesa che rifiuta di annacquarsi e preferisce perdere terreno in estensione pur di guadagnare profondità nelle anime. Francesco ha scelto l’altra strada, lasciando una Chiesa più debole e incerta. I semi dei problemi trasmessi in eredità a Leone XIV li piantò già nel concistoro del febbraio del 2014, quando affidò al cardinale progressista tedesco Walter Kasper la relazione d’apertura in cui si indicavano alcuni modi per riammettere alla comunione i divorziati risposati. Nell’ottobre del 2015, all’inizio del secondo sinodo sulla famiglia, tredici cardinali, tra cui l’allora arcivescovo di Bologna Carlo Caffarra, scrissero al papa per esprimergli «preoccupazioni» e temendo che quel sinodo potesse «essere dominato dal problema teologico/dottrinale della comunione per i divorziati risposati civilmente». «Se così avverrà», lo avvertivano, «ciò solleverà inevitabilmente questioni ancora più fondamentali su come la Chiesa, nel suo cammino, dovrebbe interpretare e applicare la Parola di Dio, le sue dottrine e le sue discipline ai cambiamenti nella cultura».
Francesco non risolse la questione, e nel marzo del 2016, quando pubblicò l’esortazione apostolica Amoris laetitia, i dubbi si moltiplicarono. Quattro cardinali, Caffarra, Walter Brandmüller, Raymond Burke e Joachim Meisner, gli scrissero allora una lettera, avvertendolo che c’erano «un grave smarrimento di molti fedeli e una grande confusione». Dopo essersi consultati con altri, che preferirono rimanere nell’ombra, gli sottoposero cinque “Dubia”, domande sull’interpretazione della Amoris laetitia, formulate in modo da avere come risposta un «sì» o un «no» (vedi Matteo). La prima era «se sia divenuto ora possibile concedere l’assoluzione nel sacramento della Penitenza e quindi ammettere alla Santa Eucaristia una persona che, essendo legata da vincolo matrimoniale valido, convive “more uxorio” con un’altra». Le risposta non arrivarono mai, smarrimento e confusione rimasero. E dal terreno della famiglia si sono allargati a quello, persino più importante, del confronto con l’islam. Nel febbraio del 2019, ad Abu Dhabi, Francesco ha sottoscritto con il grande imam Ahmad Al-Tayyeb, massima autorità dell’università sunnita del Cairo, il “Documento sulla fratellanza per la pace mondiale e la convivenza comune”. Lì si legge, tra le altre cose, che «il pluralismo e le diversità di religione (...) sono una sapiente volontà divina». Ma come può il Dio dei cristiani volere questo se il primo comandamento recita «Non avrai altro Dio fuori di me» e la Chiesa si fonda sul dogma per cui solo Cristo è «la via, la verità e la vita»?
Così, ancora una volta, una parte della gerarchia è insorta. Pochi mesi dopo, un piccolo gruppo di cardinali e vescovi, tra i quali il solito Burke, ha pubblicato, sotto forma di «aiuto fraterno e filiale al Sommo Pontefice», una “Dichiarazione delle verità relative ad alcuni degli errori più comuni nella vita della Chiesa del nostro tempo”. Un testo in cui lanciano l’allarme per «una confusione dottrinale e un disorientamento quasi universali» e affermano che «la religione nata dalla fede in Gesù Cristo» è «l’unica religione voluta positivamente da Dio». Ad aumentare la confusione e la distanza da Benedetto XVI, nel 2021 è arrivato il motu proprio Traditionis Custodes, con cui Francesco ha drasticamente limitato l’uso della messa in latino, rovesciando l’impostazione del suo predecessore.
Gran parte di questo sconcerto ha attraversato la Chiesa d’Europa, il continente che Ratzinger riteneva la prima terra di missione e che il papa venuto «dalla fine del mondo», di fatto, ha dato per persa. Ma nel dicembre del 2023 il terremoto ha colpito anche l’Africa, con il documento Fiducia Supplicans, pubblicato dal dicastero perla Dottrina della fede e scritto dal cardinale argentino Víctor Manuel Fernández, stretto collaboratore di Francesco.
Quel testo prevede «la possibilità di benedizioni di coppie in situazioni irregolari e di coppie dello stesso sesso», anche se ciò non comporta «alcuna fissazione rituale da parte delle autorità ecclesiali, allo scopo di non produrre una confusione con la benedizione propria del sacramento del matrimonio». Il risultato è stata la rivolta di alcune conferenze episcopali africane. «Non vi è alcuna possibilità nella Chiesa di benedire unioni e attività tra persone dello stesso sesso. Ciò andrebbe contro la legge di Dio, gli insegnamenti della Chiesa, le leggi della nostra nazione e la sensibilità culturale del nostro popolo», hanno avvertito i vescovi nigeriani. Molte “aperture”, dunque. Apprezzate da chi non va mai in chiesa, ma capaci di deludere tanti sacerdoti e milioni di credenti. Quando Bergoglio fu eletto papa, nel 2013, nel mondo si contavano 118.251 seminaristi e 415.348 sacerdoti cattolici: dieci anni dopo i primi erano scesi a 106.495 e i secondi a 406.996. Il crollo si è avvertito soprattutto in Europa, che ha perso il 30% dei suoi candidati al sacerdozio. Spetta ora al primo papa statunitense scaldare una fede che in Europa e in Occidente non è mai stata così fredda.