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Angela Taccia richiamata dall'Ordine degli avvocati: l'accusa

Il richiamo formale dei colleghi milanesi arriva dopo il post e le dichiarazioni alla stampa. Nessun provvedimento, ma un monito chiaro sul decoro professionale
di Claudia Osmetti sabato 24 maggio 2025

3' di lettura

Aveva appena dichiarato, in una lunga intervista a Repubblica, che «zero, non c’è stato nessun problema. Anzi. E non ho commesso nessun illecito». È il primo pomeriggio di ieri quando l’Ordine degli avvocati di Milano richiama «al rispetto del codice deontologico» che regola pure i rapporti tra professionisti, media e social network. Il monito, in realtà, è generico, cioè è indirizzato a tutti i legali che stanno seguendo il caso Garlasco: ma che riguardi soprattutto uno dei difensori di Andrea Sempio, ossia Angela Taccia, è chiaro a chiunque.

Occhiali da vista esagonali o da sole tondi ed enormi modello Yoko Ono, felpina dei Negrita, coda di cavallo, 36 anni: Taccia, da qualche giorno, ossia da quando ha annunciato urbi et orbi la mancata presenza del suo assistito all’interrogatorio fissato in procura lunedì scorso, e l’ha fatto scrivendo sul suo profilo Instagram un messaggino del tipo “lotta dura senza paura, cpp (codice di procedura penale, ndr) we love you”, si è guadagnata un posto d’onore tra i protagonisti dell’inchiesta bis sull’omicidio di Chiara Poggi. Dire che non passa inosservata sarebbe una menzogna. Un po’ come sostenere che il cancan sollevato dalla riapertura del faldone non abbia un ritorno mediatico di primo piano. «Vicende giudiziarie complesse e dolorose richiedono, da parte dell’avvocatura, un atteggiamento improntato alla discrezione, al rispetto della sofferenza delle vittime, dei famigliari e di tutti i soggetti coinvolti». L’Ordine milanese sa come si calibrano le parole: quando si riunisce (sussurrano le indiscrezioni) c’è chi vorrebbe appellarsi al consiglio di disciplina e chi glisserebbe sui fatti derubricandoli a poco più di una ragazzata. Prevale una via di mezzo, che è una nota collettiva e che chiede di mettere al bando «ogni forma di protagonismo o di spettacolarizzazione mediatica» la quale «risulta non solo inopportuna, ma contraria ai valori fondanti della professione forense».

«Il nostro codice», continuano gli avvocati meneghini, «impone a chi rilasci dichiarazioni pubbliche o interagisca con i media o utilizzi i social network di assumere un comportamento riservato, sobrio e misurato a tutela del decoro e della dignità dell’avvocatura» anche perché «il prestigio» della categoria, «si fonda sull’autorevolezza, non sull’esposizione mediatica». Tutte frasi astratte che, tuttavia, sembrano avere un destinatario in particolare: quella collega in jeans e top azzurro, con le sneakers ai piedi, giovane, giovanissima, peraltro pure amica di vecchia data di Sempio ed ex fidanzata di un altro ragazzo del gruppo che frequentava la villetta di via Pascoli, garlaschese anche lei, battagliera fin nel midollo (il suo chiaccherato post in rete, corredato dall’iconicina di un cuoricino e di un tigrotto, ne è la conferma).

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«Nessuna guerra (coi magistrati, ndr) sul piano personale», spiega la diretta interessata, «ma professionalmente è guerra. Mi dicono “roba da asilo”? Pazienza, io non mi nascondo». E circa le critiche incassate per l’abbigliamento che non è proprio da dress code tribunalizio (ma in tribunale, per ora, non ci siamo arrivati) alza le spalle: «Amen. Se penso che mi arrivano mail di minacce, questo è niente. La sola cosa che mi interessa è fare bene il mio lavoro». Sull’argomento si è esprime anche l’avvocato Massimo Lovati: anche lui nel corso di un’intervista, anche lui ieri, anche lui prima che l’Ordine ci metta un punto (però a un altro quotidiano, al Corriere). «Questo è un circo», sostiene l’altro difensore di Sempio, «state facendo il processo alla mia giovane collega, poverina, perché ha scritto una frase che non sta né in cielo né in terra, e in questo avete ragione. Le è sfuggita, la chiamerei similitudine, un’enfasi». Infine è Antonino La Lumia, il presidente degli avvocati milanesi, che puntualizza: «Il nostro compito non è alimentare il clamore, ma garantire i diritti, tutelare la dignità delle persone coinvolte e mantenere alto il senso di giustizia che guida la nostra professione».

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