Non risparmia nessuno, Marco Rizzo, nella sua autobiografia. Soprattutto, l'attuale il leader di Democrazia Sovrana Popolare non fa sconti a nessuno dei politici di sinistra con cui ha condiviso buona parte della sua carriera in Parlamento, prima dello "strappo".
E' una "biografia di periferia, non un'operazione nostalgia", dice Rizzo del nuovo libro a cura di Enrico Maria Casini, dal titolo Una biografia di periferia. Nella descrizione, si legge, è "un pugno allo stomaco per chi si ostina a credere che questo Paese funzioni ancora secondo un principio di realtà". Il "ritratto di chi guarda il mondo di oggi e non lo riconosce più. Perché la realtà che ci scorre davanti è distorta e falsificata. E' la fine della dignità, del merito, della coerenza", si legge ancora.
Da ultimo dei comunisti a sovranista amato anche a destra e da chi non vota, Rizzo nasce a Torino da una famiglia operaia e affronta una vita dura negli anni '70 della lotta dura e del terrorismo. Poi parlamentare con la sinistra, ma oggi lontanissimo dalle idee di Elly Schlein che - a suo parere -, "non è la mia sinistra. Non è la sinistra da cui provengo. Il sovranismo popolare è la titolarità del popolo sul governo, al di fuori di ogni potere economico sovranazionale e di ogni struttura che intercede per noi". Nell'autobiografia, si legge, "dimenticate la sinistra da salotto. Qui si parla di popolo, fabbriche, periferie vere. E di un'idea scomoda: sovranismo popolare".
Ma sono i giudizi sui leader il piatto forte del libro. Paradossalmente, un "nemico" come il leghista Matteo Salvini viene quasi simpaticamente risparmiato ("Un po’ sovrappeso") mentre vengono colpiti e affondati tutti i miti radical-progressisti. Il magnate George Soros è niente meno che "il diavolo". Il grillino Giuseppe Conte? Vedi alla voce "Francia, Spagna, purché se magna". Romano Prodi è "una monaca velenosa", mentre Massimo D’Alema "odiava Craxi. Voleva fare le stesse cose. Le fece molto peggio".
I fuochi d'artificio sono però per Fausto Bertinotti, il comunista da copertina: "Non aveva nulla del comunista. Era immagine, teatro, gesto estetico. La politica, quella vera, fatta di scelte dolorose, di ideologia, di analisi concreta della realtà… non gli apparteneva. Era tutta scena. E per me, che venivo da anni di militanza vera, fu un tradimento".