Amanda Knox si fa la sua fiction: schiaffo a Meredith

di Alessandro Dell'Ortovenerdì 1 agosto 2025
Amanda Knox si fa la sua fiction: schiaffo a Meredith
4' di lettura

Fotografi, poliziotti, giornalisti. E ancora altri flash, giudici, la casa dell’omicidio, il processo, altri fotografi, di nuovo poliziotti, gli avvocati e una cella che si chiude con lei che supplica «No, no, no, la prego». Sbam.

Rieccola Amanda Knox, 38 anni, che con un trailer di poco meno di 2 minuti lancia The Twisted Tale of Amanda Knox, fiction che andrà in onda su Disney+, in otto puntate, dal 20 agosto. «Per 15 anni mi hanno giudicata per qualcosa che non ho fatto. Molti credono di conoscere la mia storia.

Ma ora, finalmente... tocca a me raccontarla» è la promessa, che sa un po’ di minaccia, di Amanda la quale, a 18 anni dal delitto di Meredith Kercher - avvenuto a Perugia l’1 novembre 2007 -, presenta la sua verità che non può riscrivere quella processuale semplicemente perché non ce ne è una: l’unico che ha pagato è stato l’ivoriano Rudy Guede, condannato a 16 anni (con il rito abbreviato) per concorso in omicidio. Peccato che non si sia mai capito in concorso con chi, visto che sia Amanda Knox che Raffaele Sollecito (il suo fidanzatino di allora) il 27 marzo 2015 sono stati assolti definitivamente in Cassazione «per non aver commesso il fatto», dopo che erano stati condannati in primo grado, essere stato assolti in appello ed essere stati ricondannati - rispettivamente a 28 anni e 6 mesi e 25 anni - nell’appello bis. Sì, un altro processo a giravolta (come quello ad Alberto Stasi per il delitto di Garlasco, omicidio accaduto solo tre mesi prima) e un’altra fiction, ovviamente di parte che, come Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio (ha messo in discussione la colpevolezza di Bossetti) andata in onda nel 2024 su Netflix, dividerà ancora di più tra innocentisti e colpevolisti cercando di insinuare perplessità e condizionare chi ha seguito poco il caso.

Amanda Knox, che dopo l’assoluzione è tornata a Seattle, la sua città natale (nel 2019 ha sposato lo scrittore statunitense Chris Robinson con il quale ha avuto due figli), ha conseguito una laurea in writing e ha iniziato a lavorare come scrittrice/giornalista interessandosi anche di true crime, già in passato aveva parlato della sua vicenda nel libro “Waiting to be heard: A Memoir” - in cui raccontava l’esperienza del carcere, durata circa quattro anni - pubblicato nel 2013, che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo e il cui ricavato è stato utilizzato per pagare le spese legali del processo. Ora la scelta di fare la fiction, girata lo scorso novembre a Perugia e Orvieto, «perché oggi sono un produttore esecutivo e un partner creativo, mentre in passato, anche chi si è rivolto a me con le migliori intenzioni, ha sempre detto: “Vogliamo raccontare la tua storia” - ha spiegato la Knox in un’intervista rilasciata a Vanity Fair- Non mi interessava avere la voce di un’altra persona che raccontasse la peggiore esperienza della mia vita». E ancora. «Questa storia è stata una storia in cui veri esseri umani - io, ma anche la mia compagna di stanza Meredith, il mio fidanzato Raffaele e persino il procuratore Giuliano Mignini- sono stati sminuiti. Siamo stati messi in piccole scatole e giudicati in base alle etichette che ci sono state affibbiate. Questa serie lavora davvero per respingere questi contenitori. Non dobbiamo essere limitati da narrazioni in bianco e nero quando pensiamo alle tragedie. E credo che questo sia molto utile in un periodo in cui le persone si isolano e non trovano un terreno comune. Questa storia serve come ammonimento».

Tra i creatori e i produttori esecutivi di The Twisted Tale of Amanda Knox ci sono, oltre alla stessa Knox, figure di spicco come Monica Lewinsky (sì, proprio lei, la protagonista dello scandalo sessuale del 1995 con Bill Clinton), KJ Steinberg - già sceneggiatrice di This Is Us - e Michael Uppendahl, che firma anche la regia (l’attrice Grace Van Patten, invece, interpreta Amanda). «Non ho perso la testa sul set - ha raccontato ancora la Knox a Vanity Fair - tranne una volta (l’interrogatorio ndr). Abbiamo passato due giorni di 10 ore a girare questa scena da tutte le diverse angolazioni, più e più volte. Ricordo solo che singhiozzavo». Già, il famoso confronto, da sola, senza avvocato, con molti poliziotti presenti, senza possibilità di mangiare o dormire e senza conoscere bene la lingua italiana (la Corte dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l’Italia a risarcire Amanda con 18.400 euro). «Sono una attivista nel mondo delle condanne ingiuste e una delle sfide più grandi che ho affrontato è stata quella di far capire alle persone cosa significa essere interrogati. Volevo che guardando il film fosse chiaro come ci si sente ad essere spinti a immaginare cose che non sono vere e a cercare di dare un senso a ciò che la polizia ti dice».

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