Marco Confortola nel mirino: "Foto false in vetta", scontro sui 14 "ottomila" del super-alpinista

di Claudia Osmettisabato 9 agosto 2025
Marco Confortola nel mirino: "Foto false in vetta", scontro sui 14 "ottomila" del super-alpinista

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La bufera lassù, oltre gli 8mila, c’è eccome. L’alpinista Marco Confortola è appena sceso a valle dall’ultima salita, quella al Gasherbrum I, in Pakistan, quota 8.068. Non è una cima qualsiasi: per lui è la vetta numero quattordici, «il momento  più emozionante» di sempre, ma è anche quella che ha aperto, a valle, la polemica. C’è chi gliela contesta. Anzi, c’è chi gli contesta diverse arrampicate. Premessa, ché qui dobbiamo capirci tutti e anche chi di ramponi, piccozze e cordate sa nulla: conquistare una cima significa arrivare nel suo punto più alto, fermarsi qualche metro sotto, magari anche meno di un centinaio, che in città non è niente ma a un passo dal cielo è una scarpinata di un’ora e mezza o due di cammino, è un altra cosa. Tanto che esiste un sistema tutto rodato di certificazioni, di sherpa e di summit bonus per questi “aiutanti”: le regole sono regole. A lanciare per primo il dubbio che qualcosa non torni nelle scalate di Confortola è Lo scarpone, la storica rivista (oggi si trova tranquillamente on-line) del Cai, il Club alpino italiano. Lo scarpone sostiene che ci siano rumors, detti e non detti, perplessità più o meno esplicitate nell’ambiente e che non siano nate oggi: uno che le ha messe in fila è l’alpinista Simone Moro. «È una storia vecchia», conferma lui a Libero, «che io personalmente non ho interesse a tirar fuori perché ho un altro approccio alla montagna, non rincorro i quattordici 8mila, mi piace fare esplorazioni uniche. Epperò senti una persona, ne senti un’altra, dopo un po’ il racconto si fa corposo».

Moro pilota l’elicottero del soccorso di Nepal, la gente con cui dice di aver parlato sono (appunto) gli sherpa che hanno seguito Confortola in diverse salite. «Sul Kangchenjunga, per esempio, che è la terza montagna più alta del pianeta, ho portato anche lui e, a fine spedizione, ho trasportato i bagagli e il suo sherpa. È stato proprio lo sherpa a raccontarmi che Marco si è fermato circa un centinaio di metri sotto la vetta, che nonostante le insistenze gli abbia risposto “no, per me la vetta è qui” e che non sia mai salito fino in cima. A suffragio di questo, l’agenzia di trekking che ha organizzato la spedizione non ha inserito il nome di Confortola nella lista delle persone che hanno raggiunto l’obiettivo».

Per Moro, però, non si tratterebbe di un caso isolato: sull’Lhotse (8.516 metri) Confortola avrebbe «chiesto a un alpinista spagnolo, Jorge Echocheaga, una foto della vetta per modificarla: in pratica, usando Photoshop, avrebbe sostituito la sua immagine a quella dell’iberico. Le fotografie sono identiche, per esempio hanno dettagli uguali, nella conformazione della neve o nelle ombre, il che fa venire più di un sospetto». «Inoltre al Makalu (8.485 metri) si sarebbe fermato 90 metri prima della cima, lo sostiene un alpinista indiano che era su quel giorno: una, due, tre episodi cominciano a essere tanti», continua Moro. «Mi piacerebbe sapere bene la verità», gli dà manforte un altro nome di peso dell’alpinismo italiano, Silvio Mondinelli, «io so come sono andati i fatti, mi piacerebbe che li raccontasse lui», cioè Confortola. «Sarebbe bello fare un confronto tra tutti così si tirerebbero via tutti i dubbi, senza offendere le persone o sollevare troppo caos». Anche il presidente del Cai Antonio Montani entra nella vicenda: «La corsa agli 8mila», spiega, «è finita diversi da diversi decenni e non ha più alcun senso. Noi vogliamo confidare nella lealtà di chi pratica questa disciplina che ha forti connotazioni ideali. È importante che chi affronta imprese così impegnative lo faccia non solo con coraggio ma anche con senso di responsabilità verso la comunità, nel rispetto della verità e della trasparenza. Solo così si preservano i valori profondi che rendono l’alpinismo una pratica culturale ed etica, non solo sportiva».

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Lui, invece, il diretto interessato, Confortola dice che «se qualcuno sta cercando visibilità sputando addosso agli altri è un discorso che non vale nemmeno la pena di commentare e, tra l’altro, è iniziato già nel 2008. Tutti oramai si mettono sui cadreghini e fanno i professori: io penso, però, che chi mi attacca dovrebbe anzitutto pensare alle sue di cose, a quello che fa e non a quello che fanno gli altri. L’invidia è un sentimento che non mi appartiene. Bisognerebbe smettere di alimentare polemiche vane quando ci sono tantissimi aspetti belli che succedono: per esempio nel 2015 ho creato una scuola per duecento bambini, ma di quella nessuno ha mai scritto una virgola».