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25 aprile, peché è una festa anti-italiana

venerdì 7 aprile 2023

2' di lettura

Il fascismo non ha rappresentato un’avventura civile e politica in cui gli italiani sono stati immessi violentemente: ha rappresentato una grande, tragica esperienza in cui gli italiani si sono implicati quasi naturalmente, e spesso entusiasticamente. Non solo. Il progredire e l’aggravarsi dell’atrocità fascista non dipendevano dall’incattivimento del regime, ma dalla disponibilità degli italiani ad assistervi. Più che la forza della direttiva nazista, era l’efficacia dell’acquescenza italiana a rendere possibile l’approvazione delle leggi razziali. Se queste banalissime verità faticano a essere riconosciute e sono al più materia di convegno, ma non ancora patrimonio comune, è perché esse rinnegano l’esistenza di un difetto democratico che è ancora attuale, una tara perdurante che per molti aspetti accomuna l’Italia repubblicana a quella di prima: l’Italia più antica che ha subito il fascismo producendolo; l’Italia più antica che si è liberata del fascismo che essa aveva prodotto senza liberarsi da ciò che lo aveva prodotto, e cioè da sé stessa.

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Il 25 aprile è il buco nero che deglutisce quelle verità e ne vomita fuori una versione mal digesta, compatibile con la rappresentazione di un Paese irriconoscibile ed estraneo a sé stesso durante un ventennio, e invece finalmente capace di rientrare nei propri panni democratici in un giorno di primavera del 1945. Ma quei vestiti indiscutibilmente più liberi ricoprivano, non sostituivano, la divisa civile sottostante, la tenuta che il fascismo non aveva faticato un granché a uniformare. E se una buona quota di italiani non si riconosce nella retorica delle celebrazioni del 25 aprile è perché essa, come quell’abbigliamento apparentemente liberatorio, nasconde le fattezze italiane e se ne vergogna anziché adeguarvisi in un rapporto finalmente sincero. C’è qualcosa di anti-italiano, in certo antifascismo celebrativo, e gli italiani lo sentono.

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