Il fascismo non ha rappresentato un’avventura civile e politica in cui gli italiani sono stati immessi violentemente: ha rappresentato una grande, tragica esperienza in cui gli italiani si sono implicati quasi naturalmente, e spesso entusiasticamente. Non solo. Il progredire e l’aggravarsi dell’atrocità fascista non dipendevano dall’incattivimento del regime, ma dalla disponibilità degli italiani ad assistervi. Più che la forza della direttiva nazista, era l’efficacia dell’acquescenza italiana a rendere possibile l’approvazione delle leggi razziali. Se queste banalissime verità faticano a essere riconosciute e sono al più materia di convegno, ma non ancora patrimonio comune, è perché esse rinnegano l’esistenza di un difetto democratico che è ancora attuale, una tara perdurante che per molti aspetti accomuna l’Italia repubblicana a quella di prima: l’Italia più antica che ha subito il fascismo producendolo; l’Italia più antica che si è liberata del fascismo che essa aveva prodotto senza liberarsi da ciò che lo aveva prodotto, e cioè da sé stessa.