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Giovanni Sallusti: Gassmann e Scamarcio, se il soccorso rosso arriva da Cinecittà

Giovanni Sallusti
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Teorema della politica italica: quando la sinistra è (particolarmente) in difficoltà, scendono in campo gli intellettuali. Pronti, via: ecco Alessandro Gassmann e Riccardo Scamarcio. Non ridete, è tutto perfettamente in scala: nell’era in cui la segretaria del partito erede del Pci è la signora Elena Ethel Schlein con armocromista al seguito chi vi aspettavate, Vittorini e Moravia?

Gassmann e Scamarcio hanno dato vita a un fulmineo uno-due sulle colonne de La Stampa. Ha iniziato domenica Riccardo, che ha consegnato all’inserto Specchio le sue meditabonde analisi sotto il titolo «Temo la repressione», manco fosse una versione alla carbonara di Navalny. Per chiarire che ci si inerpica su cime politologiche inaccessibili ai più, è partito così: «Un po’ di patriottismo ci sta, ma solo quello che include le differenze, non quel patriottismo stupido contro gli altri. Un patriottismo inclusivo». Un patriottismo omeopatico, veltroniano, nazionale ma anche cosmopolita, molto petaloso e twittabile. Un giornalista potrebbe chiedergli dove si ferma l’asticella della compatibilità culturale, se ad esempio “includa” anche usi e costumi di certe comunità islamiche nostrane, sottomissione violenta della donna e obbligo di digiuno per i bambini in primis. Ma si passa oltre, si sfocia in un complottismo d’essai, un po’ Noam Chomsky un po’ Red Ronnie: «Il potere che ci governa vuole che le persone non pensino, che consumino e basta. C’è un pensiero unico che ci viene propinato dalla mattina alla sera, neanche più i giornali e i telegiornali sono liberi».

 

 

Solo Scamarcio è libero, persino di strillare al regime in prima pagina. E di regalarci la perla seguente: «La repressione vista a Pisa mi ha ricordato quella del G8 di Genova». La cosa divertente è che a ruota assicura di «rimpiangere Pasolini» senza averlo mai letto, visto che tra i figli di papà all’assalto degli «sbirri infami» e i proletari in divisa (quasi) tutti sanno con chi fraternizzò lo scrittore. In ogni caso, Scamarcio è angosciato: «Sono convinto che siamo in pericolo, abbiamo disarticolato l'architettura democratica accettando di votare con una legge elettorale anticostituzionale». Ah, anche costituzionalista, per parafrasare un immortale dialogo tra il ragionier Fantozzi e la signorina Silvani.

Gassmann è appena più accorto del collega, e sceglie di posizionarsi in una sorta di “nannimorettismo” 5.0: incalzare la sinistra da sinistra. «Sinistra, che fai?» è infatti il titolo accorato che lanciava la sua intervista di ieri su La Stampa. L’intervistatrice Francesca Schianchi attacca subito con la notizia: «Per descrivere il campo largo, Alessandro Gassmann su Twitter ha coniato in romanesco la metafora della bruschetta: “Se ci metti troppi sapori, n’è più na bruschetta, e te se sfragna”». Stavamo ancora faticando ad assorbire l’ardita analogia concettuale, che il nostro consegna ai taccuini un’altra intuizione memorabile: «Davanti a questa destra che urla ci vuole una sinistra che non cincischi e non abbia paura a dichiararsi sinistra. Ci vuole coraggio». Giusto, noi pensavamo ci volesse viltà. Ma, come tutti i pensatori di successo, Alessandro ripropone il suo cavallo di battaglia, è proprio convinto che sia una genialata: «Se c’è qualcuno che porta avanti le idee green e altri meno, un altro che non si sa se sia di sinistra o di destra, la bruschetta si sfragna». Segue doppio giudizio sui due che sgomitano per condire la bruschetta. Elly Schlein: «Mi piace che sia giovane e donna» (due qualità ad altissimo impatto politico). Giuseppe Conte: «Mi ha molto rassicurato ai tempi del Covid». E per un attimo pensi sia una candid camera, poi ti ricordi che durante la pandemia costui si vantò di aver «fatto il proprio dovere» per aver denunciato i vicini che stavano tenendo un “party” sovversivo (in quel frangente, si sa, le libertà costituzionali diventarono improvvisamente meno chic).

 

 

La Germania Est, comunque, pare il suo modello non solo per regolare i rapporti di vicinato, visto che si dichiara entusiasticamente «favorevole a una patrimoniale», ovvero alla mazzata finale per il ceto medio. Infine, non vuole essere da meno di Scamarcio nella crociata anti-divise, ma anche qui è più furbo e finge la captatio: «Ho interpretato per anni un poliziotto ne I bastardi di Pizzofalcone. So per certo che la stragrande maggioranza non sono come quelli visti in piazza: per questo penso che dare loro la possibilità di identificare i colleghi con i nominativi sui caschi tutelerebbe la grande maggioranza perbene». Insomma, siamo all’“ho anche amici poliziotti”, per questo voglio instradarli alla delazione che mi ha già dato soddisfazioni a livello condominiale. Patrimoniale&Stasi: sì, vince Alessandro, è l’ intellettuale organico perfetto dello schleinismo.

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