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Matteo Renzi al Colle vuole un uomo che obbedisca e tenga testa alla Merkel

Andrea Tempestini
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«Il nome ce lo ha in testa solo Matteo e forse nemmeno lui», spiega un suo uomo. Più realistico è cercare di capire verso quale profilo il premier punti. Posto che il potere di proposta sarà suo. Tra i suoi, si risponde innanzitutto che «Matteo predilige una persona vicina, di cui si possa fidare ciecamente. Poi che sia una personalità più economica o più politica, poco importa». L'importante è che «abbia una forte intesa con il premier». Seconda condizione è che sia «spendibile nell'opinione pubblica», un presidente che possa piacere alla maggioranza degli italiani. Terzo, che sia votato nel Pd, insomma che non scateni troppi franchi tiratori. Perché se è vero che Renzi punta a eleggere il successore di Giorgio Napolitano insieme a Forza Italia, non vuole, però, la replica dei 101. Una quota di franchi tiratori si mette in conto. L'ipotesi più ottimistica è di una trentina di voti in dissenso, quella più pessimistica è di ottanta. Sommati a quelli di Fi e di Ncd, si arriva a un centinaio. Dalla quarta votazione, ce la si dovrebbe fare. Ma un conto è se Renzi riesce a tenere unito il grosso del Pd, altro se non ce la fa. Perciò cerca un nome che sia “digeribile” innanzitutto dai bersaniani, la cui presenza tra i grandi elettori è consistente.Per questo, si dice, non va bene Dario Franceschini. «Scatenerebbe troppe divisioni». Sbaglierebbe, però, chi pensasse che punti a un presidente della Repubblica poco autorevole, a un classico grand commis di Stato. Intanto perché le sue scelte precedenti vanno tutte in una direzione opposta: dove gli è capitato, ha sempre scelto dei politici, da ultimo ha fatto così per la Farnesina. E poi perché c'è il fattore internazionale, che in questi giorni in molti gli fanno notare. Se è vero che una personalità forte gli può fare ombra, è anche vero che in questi mesi, con Napolitano, ha sperimentato l'utilità di un presidente che, per dirla con una fonte autorevole, «quando chiama la Merkel o Obama viene ascoltato e non solo per il ruolo che ricopre». Attorno a questa doppia esigenza - qualcuno di assoluta fiducia, ma credibile a livello internazionale - si snoda il rebus. Per questo si è parlato del ministro Padoan e la sua presenza al brindisi coi parlamentari del Pd ha alimentato le voci di una sua possibile candidatura per il Colle. Padoan, effettivamente, avrebbe una qualche credibilità nelle cancellerie. Ma nella cerchia di Renzi si tende a smentire. Intanto perché Padoan, si dice, non è Carlo Azeglio Ciampi. Questi veniva da Bankitalia, poteva vantare un'esperienza super partes. Padoan no. Dunque sarebbe più complicato farlo digerire al centrodestra. Ieri sia Matteo Salvini, per la Lega, sia Giorgia Meloni, per Fratelli d'Italia, hanno detto che non lo voterebbero mai. Meglio, a questo punto, figure come Sergio Mattarella o Pierluigi Castagnetti, per quanto scontano l'essere molto legati alla Prima Repubblica. L'unico dato certo è che il prossimo presidente della Repubblica nascerà «sotto il segno del patto del Nazareno», si sintetizza nel Pd. Si rafforza, cioè, l'ipotesi di puntare a un'elezione condivisa con Fi. Del resto è anche il consiglio che Giorgio Napolitano gli ha dato, ogni volta che ne hanno parlato. Tanto più dal momento che a Berlusconi, si dice in Fi, «tranne Prodi e Draghi, va bene tutto». Non porrebbe un veto nemmeno su Walter Veltroni. di Elisa Calessi

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