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Italicum, Pd spaccato: i dissidenti dialoganti, i falchi, il voto segreto. E la minaccia a Renzi: "Con la fiducia legislatura finita"

Giulio Bucchi
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"Spero non mettano la fiducia, perché dopo un tale strappo la legislatura è finita". Parola di Gianni Cuperlo, il più diretto nella minoranza Pd e forse il più irriducibile insieme a Pier Luigi Bersani nel suo no all'Italicum e alla linea del premier Matteo Renzi. Alla vigilia della resa dei conti dentro al Pd stasera all'assemblea del gruppo della Camera, al Nazareno e a Palazzo Chigi si usa il pallottoliere per capire quanto rischia il governo. La legge elettorale, così com'è, non piace per nulla alla minoranza che fa leva sulla rottura tra Renzi e Berlusconi per far risentire il proprio peso. Sono 90 i parlamentari che hanno firmato il documento di Area riformista che chiede di poter discutere nuovamente alla Camera e apportare modifiche al testo approvato già una volta sia a Montecitorio sia a Palazzo Madama. Il premier, dal canto suo, si vuole mostrare irriducibile: "Non è il Monopoli, non si può ricominciare e tornare a vicolo Corto, ora si decide". E se sarà necessario (come pare, al momento), il governo metterà la fiducia su tutti e tre gli articoli del testo. I dissidenti dialoganti - E' su questo punto, più che sulla sostanza e gli emendamenti, che il Pd rischia di esplodere trascinando nella polvere il governo e la legislatura. La minoranza è a sua volta spaccata: ci sono i "dialoganti" (con il capogruppo Roberto Speranza e Davide Zoggia in prima fila) e ci sono i "falchi", da Bersani a Cuperlo fino al solito Pippo Civati. I primi voteranno no stasera alla riunione con Renzi, dopodiché se il governo metterà la fiducia, difficilmente reggeranno la sfida e potrebbero votare sì seguendo la linea del partito oppure uscire dall'aula. "Rotto il patto con Forza Italia, - ripete da giorni Speranza a Renzi - la maggioranza si è ristretta e in Aula, senza un pezzo di Pd, potremmo avere problemi di numeri. Stiamo rischiando una grave spaccatura". Gli altri (il "pezzo di Pd") sono disposti ad andare fino in fondo. E se alla Camera l'allarme visti i numeri potrebbe rientrare, al Senato no, lì si rischia davvero. L'obiettivo del premier - Renzi conta sul fatto che l'interesse generale sia quello di non far finire la legislatura e non tornare alle urne anche se, in fondo, è quello che vuole lui per primo una volta approvata la legge elettorale: tornare alle urne prima che la Consulta si esprima sull'Italicum. Come riferisce un retroscena del Corriere della Sera, Renzi confida che "se la legge non passa salirò al Quirinale". Alla fine, però, potrebbe valere la sensazione di isolamento che serpeggia tra i "dissidenti": "Nessuno vuole la scissione, dove mai potremmo andare?", è una delle frasi ricorrenti in Transatlantico. E' pur vero, in questo dedalo di paure indicibili, minacce e controminacce, che difficilmente gente come Cesare Damiano, Guglielmo Epifani o Nico Stumpo (tanto per fare qualche nome) potrebbe accettare di convivere con un premier-segretario che ha messo il bavaglio in Parlamento e dentro al partito su un tema istituzionale come la legge elettorale. Tutto cambierebbe, al solito, se passasse la richiesta delle opposizioni di voto segreto. Nella più classica tradizione italiana, a quel punto potrebbe succedere di tutto.

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