Italicum, Renzi scommette sul ritorno del Cav
Ora l'importante è approvare l'Italicum, da soli o in compagnia fa lo stesso. «Dopo, a giugno, ci sarà tutto un altro film». Al Nazareno non si dà alcun peso alle proteste delle opposizioni e della minoranza Pd per la sostituzione dei dieci ribelli in commissione. Si guarda già oltre. La scommessa è che, una volta fatte le elezioni regionali, Silvio Berlusconi tornerà a più miti consigli e il patto del Nazareno risorgerà. E allora la minoranza avrà ancora meno spazio di manovra. E il cammino della legislatura scorrerà tranquilo fino al 2018. Da qui ad allora, però, bisogna navigare nella tempesta. Usando tutti i metodi a disposizione. Compresi quelli assaggiati ieri dai dieci della minoranza: «Loro non conoscono Matteo. Pensano che non faccia sul serio, ma si sbagliano», scuote la testa un fedelissimo del premier, commentando quanto successo in commissione Affari costituzionali. Alle 14.30, quando si è riunita, i dieci “ribelli” non c'erano più. Al loro posto, come annunciato, dieci renziani di provata fede: Paola Bragantini, Stefania Covello, Edo Patriarca, Stella Bianchi, Maria Chiara Gadda, Giampaolo Galli, David Ermini, Alessia Morani, Ileana Piazzoni e Franco Vazio. Per protesta Sel, Forza Italia e M5S abbandonano i lavori. Rimangono, però, Scelta civica (il segretario Enrico Zanetti in mattinata aveva incontrato Renzi e pare abbia ottenuto la promessa di un posto da viceministro) e Ncd. La commissione prosegue i lavori. L'Aventino delle opposizioni? «Una cagnara», la liquida Lorenzo Guerini. «Le opposizioni hanno poca dimestichezza con le regole della democrazia, non li capisco», è il commento asettico del ministro Maria Elena Boschi. La linea è chiara: «Avanti tutta», come scrive Matteo Renzi su Facebook:. «Chi grida oggi allo scandalo perché alcuni deputati sono sostituiti, dovrebbe ricordare che questo è non solo normale ma addirittura necessario (...) si chiama democrazia, quella in cui si approvano le leggi volute dalla maggioranza, non quella in cui vincono i blocchi delle minoranze. Fermarsi oggi significherebbe consegnare l'intera classe politica alla palude e dire che anche noi siamo uguali a quelli che in questi anni si sono fermati. Ma no, noi non siamo così». Il premier è convinto di aver la gente dalla sua. «Mi arrivano decine di sms che mi dicono: bravi, andate avanti, mettete la fiducia», spiega uno dei suoi. Da oggi partirà una campagna di comunicazione per spiegare cosa è l'Italicum e smontare gli argomenti della minoranza. Si parte con un seminario a Montecitorio, poi iniziative in giro per l'Italia. I sostituiti protestano? «Gli abbiamo fatto un favore. Se no, non sapevano come uscirne», si dice. Il clima nel Pd, però, è molto pesante. Andrea Giorgis, uno dei rimossi, si dice «amareggiato». Pier Luigi Bersani compare di mattina in Transatlantico poi sparisce. Gianni Cuperlo non si vede e nemmeno Rosy Bindi. «Che fai, li cacci?», ironizza Pippo Civati sul suo blog, parafransando la famosa scena tra Berlusconi e Fini. In serata si tiene una riunione ristretta dei bersaniani, in preparazione a quella di Area riformista che si terrà oggi. La verità è che, al netto di rapporti ormai logorati, la minoranza non ha una strategia. La resa dei conti sarà in Aula, dove quasi certamente il governo metterà la fiducia sul testo uscito dalla commissione. Anzi i voti di fiducia: quattro, uno per ciascun articolo. In questo modo decadranno gli emendamenti che la minoranza potrebbe presentare per farli approvare a scrutinio segreto. Resta, a questo punto, l'incognita del voto finale, su cui non si può mettere la fiducia e che sarà segreto (bastano 30 a chiederlo). Nella minoranza, c'è chi sarebbe pronto alle estreme conseguenze: «Se cade il governo, intanto bisogna vedere se Mattarella scioglie le Camere», ragiona un bersaniano. «E comunque se si va a votare con il Consultellum, Renzi sarà costretto a fare un governo di coalizione». Non la pensa così, però, chi lo conosce bene: «Se non passa l'Italicum, si va a votare. E con il Consultellum: preferenze e circoscrizioni grandi come regioni. Voglio vedere chi di loro ce la fa. E soprattutto chi li mette in lista...». A quel punto l'unica alternativa percorribile per la minoranza sarebbe la scissione. C'è chi valuta questa ipotesi: almeno alla Camera dei Deputati, dove lo sbarramento è al 4% (al Senato è all'8%), una lista di sinistra potrebbe entrare. Massimo D'Alema sponsorizza da tempo questo scenario. Ma chi sarebbe disposto a seguirlo? Allo stesso modo, chi in Aula sarà pronto a votare “no”? «Un conto è farlo su un emendamento, altro sul voto finale». L'altra ipotesi di cui si ragiona nella minoranza è uscire dall'Aula insieme a tutte le opposizioni e provare a far mancare il numero legale. Ma dovrebbero farlo tutti. E anche questo pare difficile. di Elisa Calessi