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Enrico Letta affonda Matteo Renzi: "Nel Pd doppia morale, sull'Italicum il premier fa come Berlusconi"

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Giulio Bucchi
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Dice che esce di scena: «Resterò parlamentare ancora per qualche settimana». In realtà l'ex premier Enrico Letta è tornato in campo, più agguerrito di sempre, con una gran voglia di riscatto nei confronti di Matteo Renzi. Prende la rincorsa da Parigi, dove a settembre andrà a insegnare politica ai ragazzi. In vista della sfida vera, che dovrebbe tenersi tra un paio d'anni. Il suo libro “Andare insieme, andare lontano” è appena uscito. Mentre lo scriveva immaginava che i rapporti nel Pd si sarebbero deteriorati tanto in così poco tempo? «No, assolutamente. Questa situazione mi ha preso alla sprovvista e mi dispiace davvero, sia per la durezza degli scontri e delle divisioni, sia perché questo libro l'ho scritto con un'idea del futuro molto positiva. Assistere a questa tempesta perfetta, tutta giocata sul presente e sui numeri del Parlamento, mi addolora doppiamente». Nella copertina del libro lei cita un proverbio africano: «Se vuoi correre veloce vai da solo, se vuoi andare lontano devi farlo insieme». Lei oggi con chi sta insieme?  «In questo momento mi sto concentrando molto su una nuova sfida professionale, che sto per intraprendere con una squadra di professori: mi hanno chiesto di dirigere la scuola d'affari internazionali di Sciences Po, a Parigi dal 1 settembre. Mentre dal 1 ottobre partirà la artigianale scuola di politiche che creerò per i ventenni italiani. Non so se sono all'altezza, ma ce la metterò tutta».  E la sua squadra politica quale è?  «È composta da giovani, insegnanti, ricercatori e dalle persone con cui sto discutendo del libro in tutta Italia. Ho cominciato dalla Sardegna, adesso mi sposterò in Emilia».  Strano che la sua scelta adesso sia ricaduta proprio sulla patria di Romano Prodi, che i vostri libri siano usciti in contemporanea, che il Professore le abbia lanciato più di un assist e che siate partiti all'attacco di Renzi insieme. Tutte coincidenze?  «Il mio legame con Prodi è forte e antico - abbiamo lo stesso maestro: Beniamino Andreatta - e si è consolidato con l'avventura comune a Palazzo Chigi. Però i due libri sono usciti in modo del tutto indipendente. Quando lo abbiamo scoperto ci siamo fatti due risate. Nessuna manovra a tenaglia, mi creda».  Tornando al proverbio africano: Renzi corre da solo?   Risata: «È evidente che tra noi c'è un approccio alla politica molto differente. Io ritengo che bisogna lavorare sullo spirito di comunità, sull'insieme, sul coinvolgere gli altri. Mentre Renzi è tutto concentrato sulla sua leadership solitaria».  Magari riuscirà comunque ad andare lontano. «Vedremo nei prossimi anni a cosa porterà questo suo approccio leaderistico».  Quanto durerà la legislatura?   «Io credo che arriverà a scadenza naturale. Per andare al voto bisogna completare la riforma del bicameralismo, il cui iter si è rallentato. Credo che ci vorrà ancora parecchio tempo perché si concluda…».  Nel giustificare il ricorso alla fiducia sull'Italicum, Renzi ha detto: «Non intendo rinviare tutto, come Monti e Letta, che hanno fallito sulle riforme». «Non voglio infilarmi in scazzottate di questo genere. Ognuno si assume le sue responsabilità, gli italiani guardano e giudicano».  Ha impressionato vedere un ex premier non votare la fiducia al governo del suo partito. Perché l'ha fatto?  «Perché non tollero la doppia morale. Se lo avesse fatto Berlusconi saremmo scesi tutti in piazza. So che vado controcorrente, perché è più facile far passare l'idea che è meglio decidere. E va benissimo se il governo decide le cose di competenza del governo. Ma le regole vanno decise insieme, senza colpi di mano. E la fiducia è stata una forzatura inaccettabile».  Come si comporterà domani nella votazione finale sull'Italicum?  «Ovviamente non lo voterò».  Ma lei e gli altri “dissidenti” state ancora nella maggioranza o no?  «Sulle regole mi sembra assolutamente legittimo prendere le distanze dal governo. Anche in modo duro».  Nel libro lei ha scritto: «Constato che i 100 giorni con cui il governo avrebbe dovuto rivoluzionare il Paese sono diventati 1.000». Cos'è, un calcio negli stinchi a Renzi?  «No, anzi. Il fatto che siano 1.000 giorni la trovo una cosa intelligente, perché nessuno ha la bacchetta magica. Non basta lanciare una riforma per dire “è fatta”. Basta vedere il caos che si sta creando nel mondo della scuola».  Questo governo ha fatto qualcosa di utile?  «Sul lavoro e sulle banche si è fatto un passo avanti…».  Ma?  «Ma l'orizzonte del biennio '16-'17 deve essere la riduzione delle spese e delle tasse. La partita vera adesso è acchiappare la ripresa, dovuta soprattutto all'azione della Bce di Draghi, alleggerendo la pressione fiscale sulle persone e sul lavoro e attuando una buona spending-review. Oggi ci sono le condizioni e Renzi ha la forza per farlo».  Durante il governo Letta la pressione fiscale è aumentata. Perché le tasse non le ha abbassate lei?  «Perché c'era una congiuntura economica molto più sfavorevole. I tre fattori positivi attuali - tassi d'interesse bassi, rapporto euro-dollaro favorevole, calo del prezzo del petrolio - furono tutti negativi durante il mio governo e gli esecutivi Monti e Berlusconi. Siamo capitati nella più grande tempesta economica dal dopoguerra, la mia priorità era tenere la barca a galla e ci sono riuscito».  Quella sera del 13 febbraio 2014, quando la direzione del Pd diede a Renzi il mandato di assumere il governo al suo posto, lei si sentì tradito dai suoi compagni di partito?  «Ho una certa esperienza politica. Ho vissuto momenti duri e quello è stato certamente uno dei più duri. Dopodiché, dal giorno dopo ho cominciato a guardare avanti».  La Bindi denuncia il fatto che il Pd «ha subito una mutazione genetica», Bersani dice «non è più la mia ditta». Lei si sente ancora a casa nel Pd?  «Rimane il mio partito. È ovvio che metabolizzo con grande fatica quello che sta succedendo in questi giorni. Ma oggi sono nel Pd».  E ci rimarrà?  «Resto qui».  È concreto il rischio di una scissione o morirete tutti renziani?  «Sa, quello che mi preoccupa è che basta esprimere un'opinione diversa e subito si parla di scissione. Non credo che avverranno scissioni, è una parola che non appartiene al mio vocabolario, ma rivendico la libertà di dire quando non sono d'accordo, di dirlo con tutta la forza che ho e con gli atti conseguenti».  Anche anagraficamente lei oggi rappresenta un punto di riferimento per chi nel Pd non si riconosce in Renzi. Ne è consapevole?  «In questo momento dico quello che penso e penso a costruire quello che verrà. Ho scelto un mestiere al quale tengo molto e che voglio fare bene. Resto appassionatamente impegnato in politica, ma lo farò da militante».  Il militante Enrico Letta si candiderà al congresso del 2017?  «Eeeeeeeh… quanto è lunga la via da qui al 2017... Ora ho preso un impegno a Parigi. Il congresso, al momento, non è nel mio orizzonte».  Ferruccio De Bortoli ha lasciato il Corriere della Sera dicendo che Renzi è un «giovane caudillo» nonché «maleducato di talento». Condivide?  «De Bortoli è stato un ottimo direttore. Quando lo ha ritenuto necessario non ha mai fatto mancare un giudizio critico sul governo, qualunque esso fosse. Penso che queste parole siano ancora più importanti, perché sono state le sue ultime da direttore».   Nel libro lei confessa di essersi sentito continuamente assediato da premier: «Prima Grillo, poi Berlusconi, infine Renzi». Si aspettava di essere disarcionato così dal segretario del suo partito?  «Forse ho peccato d'ingenuità, e l'ingenuità è un peccato di omissione. Per un politico è molto grave. Nel libro, infatti, c'è una forte dose di autocritica. Detto questo, sono stati dieci mesi sull'ottovolante e prevedere quello che sarebbe successo era abbastanza complicato».  Qual era il pensiero che le attraversava la mente quando dava la campanella a Renzi nel passaggio di consegne a Palazzo Chigi?  «In quel momento non ho pensato niente».  E cosa pensa oggi quando le dicono «stai sereno»?  «È diventato un tormentone nazionale. A me fa sorridere…». di Barbara Romano

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