"Così Ghedini mi ha cacciato dal Parlamento". L'accusa velenosa del big di Forza Italia
Nelle tre legislature che ha fatto col Pdl, dal 2001 al 2013, Maurizio Paniz ha dato un notevole contributo giuridico. Grosso penalista di Belluno, Paniz è l' uomo che ha chiuso il caso Unabomber. Con una clamorosa contro inchiesta, che svelò la falsificazione delle prove da parte del Laboratorio Anticrimine di Mestre, il legale ottenne l' assoluzione dell' imputato, Elvo Zornitta, ingiustamente sospettato per anni. Alla Camera, Paniz fu relatore sul «processo breve» che fissava in sei anni la durata massima dei tre gradi di giudizio ma che, essendo misura sacrosanta, non passò. Fece anche un paio di interventi in Aula sul caso Ruby, sostenendo che il Cav ignorasse la minore età della geisha e che fosse davvero convinto della sua parentela con Mubarak. Tempo dopo, la Cassazione ricalcò le sue tesi e assolse il Cav. Nonostante i meriti - o forse a causa di questi - Paniz non è stato rieletto nel 2013. È una storia di antipatie e ritorsioni che mi riprometto di affrontare appena arriva. L' appuntamento è alle 15.30 nel centro romano dove Paniz mi raggiungerà dopo un' udienza al Palazzaccio. Oltre allo studio principale di Belluno ne ha uno anche a Roma, un po' per l' abitudine alla città presa nei dodici anni da parlamentare ma soprattutto perché c' è la Cassazione dove va a finire tutto quel che riguarda i suoi clientoni, da Benetton a Del Vecchio. Sono le 15.29 quando mi si para davanti un baldo signore, immediatamente riconoscibile come Paniz per la barbetta che corre lungo il mento e fa un arco supplementare attorno alla bocca. «Spero di non averla fatta attendere», dice con allegra cerimoniosità veneta pur sapendo di essere più che puntuale. La sua ferrea stretta di mano, sconsigliabile al primo accenno di osteoporosi, è il biglietto da visita di un uomo schietto. «Immagino che perderà un sacco di tempo per curare una barba così geometrica», dico mentre, sedendo a un bar, ordiniamo i caffè. «Per me, è un risparmio di tempo», risponde. «Oggi, sono passato dal barbiere. Ma per i prossimi dieci giorni non la tocco più. Porto la barba dal liceo. Essendo nottambulo, la mattina facevo fatica rasarmi prima di correre a scuola. Facendomela crescere, guadagno quindici minuti al giorno. Sono varie ore al mese che, nella frenesia della mia vita professionale, fanno comodo». «Per uno ai suoi livelli non le converrebbe mollare una cittadina come Belluno e stabilirsi a Milano o Roma?», osservo giudiziosamente. «Io mi onoro di essere provinciale», replica. «C' è più merito a emergere da un piccolo angolo di mondo. È una lezione che ho appreso dal mio cliente, Leonardo Del Vecchio. Gli chiesi, come lei ha fatto con me: "Non sarebbe meglio per Luxottica una sede a New York invece che ad Agordo?". Replicò: "Non è scritto da nessuna parte che da Agordo non si può essere i primi del mondo"». «Lei ha il mito dell' uomo venuto dal nulla. Qual è il suo nulla?», domando. «Mio papà era un emigrato. Nato in America, è tornato a Belluno da piccolo e ha preso faticosamente una laurea per fare l' insegnante. Anche mamma insegnava e hanno tirato su tre figli. Da noi si mangia pane e neve, ma io non potevo neanche permettermi di andare a sciare come i miei compagni di scuola. Tutto ciò che ho fatto, l' ho costruito mattone su mattone». «Fino a scalare le classifiche dei contribuenti nella sua città e in Parlamento», dico. «Da molti anni sono un bel contribuente e mi vanto di non avere mai preso un euro in nero. Non so se siano tutti così», dice con tono divertito bevendo il suo caffè che, se ho ben capito, e la sola cosa che questo ginnico cinquantasettenne si concede tra le sette di mattina e le dieci di sera. Com' è che non è stato rieletto nel 2013? «Perché l' on. Niccolò Ghedini non ha ritenuto opportuno darmi un posto sicuro in lista». E il partito ha lasciato fare? «Fabrizio Cicchitto e altri hanno cercato di difendermi ma l' on. Denis Verdini, responsabile delle liste, non ha potuto che seguire le indicazioni di Ghedini che, come lei sa, è molto vicino al presidente». È lo storico difensore del Berlusca in tutte le sue cause. La vostra è una rivalità tra veneti, lei di Belluno, Ghedini di Padova? «Io non ho nessun tipo di rivalità professionale con Ghedini. Tantomeno politica». Perché Ghedini non la vuole tra i piedi? «Tutti lo sanno in Parlamento, a destra come a sinistra. Ma non entro in polemica». Gli faceva ombra? «L' ha detto lei». Come giudica Ghedini alla luce di questo sospetto? «Non ho alcuna considerazione per chi ha l' onore di essere in Parlamento e poi non lo frequenta. Ghedini ha il record dell' assenteismo». Ha sbagliato il Cav nell' affidarsi sempre a Ghedini che ha finito per dare ai nervi a tutti i giudici d' Italia? «Scelte personali che non mi competono. Certo è che aveva a disposizione altri professionisti di alto valore. De Luca, Pecorella, Cassinelli, Contento, Perlini». In alcune cause, a Ghedini sono stati aggiunti grandi avvocati come Coppi e Dinacci. «Sono stati essenziali e decisivi per l' assoluzione del presidente nel caso Ruby. Sono onorato che il prof. Coppi abbia ripreso davanti alle Corti le tesi da me svolte alla Camera per oppormi all' autorizzazione a procedere di Berlusconi». Accettando l' affiancamento di Coppi e Dinacci, Ghedini ha mostrato di sapere essere umile. «Non mi sembra che nel Ruby ter, attualmente in corso, Coppi e Dinacci siano nuovamente nel collegio difensivo». Si dice spesso che il Cav si affida a persone sbagliate. «Ha dato ruoli elevati a chi non meritava e trascurato persone di grandi capacità. Così, quando hanno voluto defenestrarlo dal Senato, invece di una squadra energica si è trovato circondato da infingardi che infilavano la testa nella sabbia». Non sa giudicare gli uomini. «Berlusconi è un maestro della politica internazionale, è straordinario per capacità di lavoro, memoria, scelte, strategiche. Ma anche lui, come Achille, ha un tallone: il tocco infelice nella scelta dei compagni di strada». Il Cav spera nell' Ue per annullare la Severino che l' ha cacciato dal Senato. Si illude? «Fa bene. È aberrante che non sia stata rispettata l' irretroattività della legge penale. L' Ue ripristinerà un cardine dello Stato di diritto calpestato dal Senato italiano». Lei punta a tornare in Parlamento? «No. L' esperienza alla Camera è stata tuttavia eccezionale per l' alto livello dei colleghi e l' eccellenza del personale parlamentare che merita le alte retribuzioni e i piccoli privilegi del suo stato». Il Cav, a parole, voleva riformare la Giustizia. Perché ha fallito? «Chi gli stava vicino lo ha indotto a scelte troppo ad personam in contrasto con l' interesse generale». Si riferisce al Guardasigilli, Angelino Alfano che per tre anni annunciò la Riforma senza darle seguito? «Non necessariamente ad Alfano. Bisogna anzi vedere quante delle promesse di Alfano erano iniziativa sua o di chi stava dietro le quinte». Devo pensare che dietro a tutto c' era il solito Ghedini? «Fa bene a pensarlo». Matteo Renzi? «Tra parlare e fare c' è grande differenza. Comunicatore grandissimo ma risultati scarsi. Si è impegnato molto in settori non strategici». Allude alla riforma del Senato? «Sbagliata. Il doppio passaggio è utile. Specie sui temi etici che ci occuperanno in futuro: coppie di fatto, fecondazione assistita, affidamenti condiviso, ecc. Cose che incidono sulla società e meritano il vaglio delle due Camere. Inoltre, non mi piace un Senato non eletto dal popolo». Se un ladro mi entra in casa ho diritto a sparargli? «Senza ombra di dubbio. Il ladro faccia a meno di entrare in casa d' altri e non correrà nessun rischio». Abolire il reato di immigrazione clandestina è stato saggio? «Un azzardo. Ha abbassato il controllo del territorio, cosa essenziale per la sicurezza. I vecchi marescialli del carabinieri sapevano tutto dei loro paesi. Come figlio di emigranti ho rispetto per l' immigrazione. Ma voglio la prevenzione che è molto migliore della sanzione». Le è capitato di rifiutare una causa? «Quando la difesa mi ripugna. La prima che rifiutai, pur essendo agli inizi di carriera, fu un signore che aveva rubato mille stelle alpine. Lo dovevo alle mie montagne!». Se qualcuno la incaricasse di diffidare una scuola che espone il crocifisso? «Rifiuterei. I nostri emigranti hanno rispettato gli usi che trovavano, non imposto i propri. Questo è il messaggio della storia». Giancarlo Perna